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INTERVISTA A MAURO GOBBINI - 11 DICEMBRE 2000


Quindi, questa esplosione dell'intervento e dunque l'emergere di soggettività da territori che fino allora erano stati ignorati, ha secondo me costituito la ricchezza di Classe Operaia ma ne ha anche determinato il limite. Perché a quel punto lì la riflessione teorica che si era svolta non era più in grado di mettere insieme queste cose: finché parlavi dell'operaio Fiat si trattava di un rapporto tra l'analisi e la realtà che sembrava quasi banale, era proprio automatico, c'era una specie di automatismo fra un'analisi teorica e una rappresentazione pratica di quello che tu dicevi. Quando insorgono tutte queste situazioni perché l'intervento si moltiplica e si intrecciano soggettività ed esperienze diverse e in maniera positiva, a quel punto lì quell'analisi che era stata fatta prima non regge più, cioè non riesce a costituire una lettura condivisibile per tutti quanti, e infatti poi si moltiplicano le esperienze, si moltiplicano le letture, e allora poi si comincia a parlare del territorio, della fabbrica diffusa e tutte queste cose qui che dal punto di vista teorico sono cose positive, nel senso che hanno dato ragione di riflessioni e di ipotesi, però di fatto soggettivamente hanno anche determinato il superamento dell'esperienza. A questo punto, però, per non dare l'impressione di un fallimento dell'esperienza di cui parliamo, bisognerebbe ricostruire il lavoro di tessitura dei rapporti con i compagni tedeschi, francesi, inglesi e americani. E' un capitolo molto importante dell'esperienza di Classe Operaia e del primo Potere Operaio, forse quello che ha continuato a dare frutti di analisi e letture del presente fino ai nostri giorni. E' dentro questa esperienza che si sono sviluppate le tesi sul lavoro, sul salario, l'operaio massa e il nuovo internazionalismo.


De Caro e Grillo avevano una posizione critica all'interno di Classe Operaia, che poi espressero anche in un ciclostilato che fecero nei primi anni '70. Questa cosa emerge anche dalle interviste che stiamo facendo: risulta anche a te?

E' un particolare che non ricordo. Di Enzo ho perso le tracce da quando sono andato a Milano. So che lui e Gaspare erano molto amici, lavoravano tutti e due all'Enciclopedia Treccani. Di Gaspare posso dire che c'è stato un momento di grande partecipazione in concomitanza con le lotte alla Fiat; mi ricordo che abbiamo fatto un viaggio tutti quanti assieme a Torino per questa grande riunione per decidere dell'intervento massiccio alla Fiat e in essa era venuta fuori anche l'ipotesi che Mario andasse a lavorare all'Einaudi e probabilmente anche Gaspare e comunque c'era questa idea forte che l'esplosione della Fiat potesse essere il segnale di qualche cosa di grosso. Si può dire che l'esplosione della Fiat avviene dopo le grandi crisi a livello internazionale del movimento operaio, come il '56. C'era quell'universo di riferimento che era il comunismo mondiale, il socialismo realizzato, al quale nessuno di noi aveva mai dato importanza: mi ricordo che ero in Sicilia quando è avvenuto il '56, ero con Giovannino Mottura a Bisacquino, un paesino sperduto dentro la Sicilia, e l'arrivo dei carri armati sovietici non ci aveva sorpreso, nel senso che davamo per scontato che, come del resto gli Stati Uniti, per mantenere integro il proprio impero avrebbero represso e ammazzato chiunque e dovunque. Quindi, l'esplosione della Fiat era in concomitanza con questa che sembrava una crisi aperta a livello internazionale, la crescita dei movimenti che si opponevano sia agli Usa che all'Unione Sovietica, i paesi non allineati: in questa cornice internazionale, anche all'interno di un paese sicuramente subordinato come l'Italia, un'esplosione come quella sembrava che potesse segnare veramente l'inizio di un rivolgimento generale. Ma non fu così, si cominciò a guardare con meno fiducia all'analisi condotta da Tronti sulla classe operaia e fu l'inizio di una critica che poi diventò radicale. Perché a un certo punto i compagni come Gaspare, ma anche altri, io stesso, vedevamo male questo doppio binario, cioè stare con Classe Operaia e stare dentro il partito: obiettivamente questa militanza nel partito e questa militanza nel movimento ci sembravano una cosa troppo difficile da digerire, e credo che Gaspare abbia a un certo punto pensato anche questo. L'ho visto più di un anno fa. Dell'esperienza dei Quaderni Rossi e di Classe Operaia dà un giudizio molto negativo, dice che lì si sono accese delle speranze, si sono avviati dei discorsi, ma poi si è ripiegato tutto nella mediazione, fino all'opportunismo personale. Poi però, al di là di questo aspetto che può essere un fatto di emotività, di disillusione, credo che non abbia più condiviso l'analisi di Tronti sul rapporto tra organizzazione e classe operaia. "Lenin in Inghilterra" non era vero, tant'è che non c'è stato. Sono state delle forzature che potevano essere capite e condivise nel momento in cui c'era questa speranza e questo rapporto comune; quando si è continuata l'analisi mantenendo questo rapporto con il vecchio che si voleva distruggere, a quel punto c'è stato il distacco, la rottura. Ma a proposito di Gaspare vorrei aggiungere alcune cose che ritengo molto importanti per chi volesse ricostruire il quadro culturale di quegli anni. Gaspare alla Treccani coordinava l'iniziativa, che lui stesso aveva promosso, di due collane di testi di storia economica e politica. I testi che sono usciti sono di grande importanza per lo studio della società borghese e capitalista. Vi cito solo alcuni nomi di autori: Kelsen, Keynes, Ricardo, Calhoun, Walras, Myrdal, Deleuze e Guattari. Di Walras Gaspare curerà in particolare, oltre che l'"Introduzione alla questione sociale", gli scritti in due volumi di "Economia monetaria" con un saggio introduttivo fondamentale. Ma di questo lavoro non trovi quasi traccia nelle riviste e negli scritti di vecchi compagni di QR, Classe Operaia e Potere Operaio.

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