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INTERVISTA A MAURO GOBBINI - 11 DICEMBRE 2000


Questa esperienza dei Quaderni Rossi, dal punto di vista proprio del laboratorio scientifico, l'ho vissuta più come testimone delle discussioni, tanto è vero che io non vi ho mai scritto niente, avevo fatto solo quando ero a Milano delle note per le Cronache dei Quaderni Rossi. Infatti, io allora da Roma ero andato a Milano perché nella mia vicenda privata a Roma per un po' di anni avevo insegnato storia e filosofia, poi dopo, per ragioni anche di sopravvivenza, ho fatto un concorso e sono andato a lavorare alla Rai di Roma da dove ho chiesto il trasferimento a Torino, proprio per la prospettiva del lavoro con i compagni torinesi. Invece mi mandarono a Milano e infatti la mia esperienza di tipo politico, operaista e autonomo, è stata divisa tra Milano e Napoli. Dal '63-'64 fino al '70 a Milano e dalla fine del '70 a tutto il '74 a Napoli. Quindi la mia esperienza politica più personale e profonda è cominciata a Milano attraverso la conoscenza e l'amicizia con i vari compagni che operavano sia a Torino che a Milano; qui c'erano Pierluigi Gasparotto, Giairo Daghini, Neri, poi c'era il gruppo di Como. A Milano io ho fatto proprio l'esperienza di lavoro politico di base, di fabbrica, nel senso che con Pierluigi, con gli altri, con lo stesso Romano che per un periodo ha fatto la spola tra Torino e Milano, abbiamo messo in piedi l'intervento in alcune situazioni che allora erano essenzialmente l'Alfa Romeo di Portello (Arese ancora non c'era), l'Innocenti che era già in crisi, la Pirelli di viale Sarca, la Siemens, la Bianchi di Desio, la Snia Viscosa, eccetera: lì appunto il lavoro è stato proprio quello di base. A Milano noi facevamo un lavoro di presenza continuativa e giornaliera davanti a queste fabbriche, successivamente poi anche alla Farmitalia, dove c'erano dei quadri tecnici che poi sono entrati dentro Classe Operaia, come Alberto Forni. Noi intervenivamo lì, la nostra linea politica nasceva da una riflessione critica sulle proposte sindacali e sulla linea politica del partito, e soprattutto dalle discussioni dirette con operai e impiegati che contattavamo ogni giorno. Quindi ci siamo trovati a discutere le ipotesi politiche e le analisi di Tronti, di Romano e degli altri contemporaneamente al fatto che volevamo mettere in piedi o mantenere un intervento in queste situazioni operaie. Mi ricordo che c'era un problema che cercavamo tutti quanti di risolvere, anche se poi è una cosa che non ha mai una soluzione definitiva: noi dovevamo riuscire a mediare il discorso della presa del potere, di "Lenin in Inghilterra", con un discorso di intervento quotidiano con una classe operaia che si capiva che si muoveva, che non era sempre la stessa, che un giorno condivideva o perlomeno ci sembrava che capisse il discorso che noi proponevamo attraverso i volantini, e invece questa presenza del partito e del sindacato che comunque in quelle situazioni di fabbrica rappresentava una resistenza molto forte. Noi avevamo proprio il problema di trovare una mediazione e una via per legare questa idea dello sviluppo della forza della classe operaia e l'intervento quotidiano. Si tenga sempre presente che noi, almeno per quello che mi ricordo, non abbiamo mai pensato che il salto potesse essere la fondazione di un nuovo partito. Per noi l'organizzazione della lotta di classe, dell'insubordinazione doveva avere caratteri pratici nel momento in cui effettivamente avveniva la lotta, ma nessuno mai ha pensato che avremmo dovuto creare una struttura con segretario, responsabile ecc. Poi nella pratica c'era il compagno che coordinava l'intervento alla Pirelli, un altro che coordinava quello all'Alfa Romeo, nella pratica queste cose qui si danno, ma questo non è stato mai un riferimento per un'idea di organizzazione di partito. Quindi, avendo questa esperienza a Milano, stando dentro a questo tipo di lavoro, ovviamente la cosa a cui ho più direttamente partecipato è stata proprio la costruzione del nucleo di Classe Operaia. Effettivamente c'è stata anche una crescita dell'esperienza politica e di intervento, perché a Torino si sono aggiunte realtà lavorative di altre città e situazioni di sfruttamento. Durante il periodo dei Quaderni Rossi, perlomeno dei primi, pare quasi che il discorso sia tutto rivolto esclusivamente su Torino, la Fiat e l'Olivetti; solo successivamente, appunto con Classe Operaia, il discorso si allarga e allora c'è Milano, c'è Roma, Genova e poi c'è soprattutto il polo veneto. Infatti, l'arrivo del gruppo veneto all'interno di Classe Operaia, anche se già aveva avuto le prime avvisaglie con i Quaderni Rossi, ha significato per essa un ulteriore sviluppo in maniera completamente diversa dal precedente, tanto è vero che quando Classe Operaia è morta, sono nate le esperienze specifiche dell'area veneta, è nato Potere Operaio. Fino a Classe Operaia l'egemonia della Fiat, come punto di analisi e di riferimento era indiscussa, quella era la realtà a cui dovevamo guardare, su quella dovevamo misurare l'efficacia dell'intervento. Con l'arrivo dei veneti e del polo di Porto Marghera questo "monopolio" si infrange, il discorso si allarga, tanto è vero che poi comincia a venire fuori il discorso sul territorio, sul piano del capitale che si inventa altre forme di sfruttamento a livello planetario, altri modi di controllare la dinamica salariale, eccetera. Queste cose qui secondo me nascono proprio dalla rottura di questo schema rigido iniziale che era centrato sulla Fiat. E non è un caso che Romano, per esempio, dal punto di vista dell'analisi della situazione di classe generale, rimane un punto di riferimento, ma è un po' appartato rispetto ai vari Magnaghi, Cacciari, Toni Negri.

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