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INTERVISTA A MAURO GOBBINI - 11 DICEMBRE 2000


In Sicilia per quanto riguarda le istituzioni ho già detto della Chiesa, ma anche le amministrazioni vedevano questa attività di Danilo Dolci come una cosa assolutamente deprecabile e da bloccare: io mi ricordo che noi avevamo costantemente visite della polizia, perché allora c'era il problema dei permessi di soggiorno, le carte di identità, i vari documenti, insomma tutta una serie di vincoli e di freni incredibili. La cosa era tanto più pesante perché ovviamente venivano in Sicilia da tutta l'Europa, infatti questa è stata l'altra dimensione dell'esperienza, cioè che l'avere pensato di applicare allo studio e alla ricerca sulle condizioni di vita di questi paesi della Sicilia i metodi che venivano applicati dalla sociologia anglosassone ai paesi del Terzo Mondo comportò l'arrivo giù in Sicilia (nelle zone tra Peto, Partinico e via dicendo) di giovani ricercatori svedesi, inglesi, francesi e ovviamente vennero anche i torinesi, infatti io Mottura, Rieser, Soave li ho conosciuti lì. Questo avvenne esattamente nell'anno e mezzo che precedette il famoso convegno sulla pianificazione che si fece in Sicilia e che fu un evento culturalmente molto rilevante, perché allora praticamente la pianificazione era identificata con la pianificazione socialista e quindi l'idea che si potesse fare un discorso di intervento pubblico e di pianificazione al di fuori degli schemi del socialismo realizzato era assolutamente un dato inaccettabile. Questo convegno fu praticamente svolto sulla falsariga dello schema che aveva fornito Alfred Sauvy, demografo ed economista francese di cui proprio allora erano apparse le sue ricerche sulla crescita della popolazione mondiale e sui problemi dello sviluppo. Insomma, i due referenti a cui si guardava in quel momento per capire quali potessero essere gli strumenti per capire in maniera più generale quello che succedeva in Sicilia erano Myrdal e Sauvy. Ovviamente c'erano economisti italiani come Sylos Labini di cui mi ricordo che a quel tempo era uscito il suo libro sullo sviluppo e la tecnologia. Quindi, questa esperienza aveva sì risvolti di tipo assistenziale, alla maniera dei "medici scalzi", ma aveva anche questa prospettiva meno riduttiva e aperta a conoscere quello che avveniva socialmente ed economicamente nel mondo.
Dunque, io mi sono formato così, cioè il mio primo impatto con il sociale - come si dice oggi - è stato un impatto in cui ci poteva essere il rischio del sociologismo e del pauperismo che, invece, il confronto con questi personaggi ha evitato. Vivendo a Roma e cercando di fare con Dolci, Calogero, Capitini ed altri un lavoro di promozione e sostegno dell'iniziativa di Dolci, sono entrato in contatto all'università con i compagni che poi hanno formato il gruppo romano dei Quaderni Rossi, soprattutto con Asor Rosa. Infatti, siccome io facevo Lettere, il primo incontro con Alberto avvenne proprio in occasione di una di queste presentazioni in facoltà dell'attività di Dolci per promuovere la conoscenza di questo lavoro e per trovare sostenitori, finanziatori e giovani volontari. Così sono entrato in contatto con questi compagni. Io non ero iscritto a nessun partito e lavorando con loro poi ho cominciato a frequentare tutti quelli del gruppo, Tronti, De Caro, Coldagelli, la Salvetti, la Di Leo e tutti gli altri. Loro in parte, almeno per quello che ne so io, si erano conosciuti all'università, il gruppo era cresciuto proprio nella relazione giovanile dello studio e dell'università, e poi molti di loro erano anche quadri di partito, o comunque erano intellettuali di partito, come Tronti, Coldagelli, poi più tardi Aris Accornero. In questa situazione ho conosciuto personalmente Panzieri: io di lui avevo già una conoscenza indiretta perché Danilo lo aveva incontrato più volte quando era stato in Sicilia come responsabile del Partito Socialista di allora. Poi, ovviamente avevo letto le cose che scriveva sulle riviste del PSI e della sinistra. L'esperienza dei Quaderni Rossi io l'ho vissuta in parte più come osservatore che come attore, perché intanto le discussioni che seguivo a casa della Rita Di Leo quando Panzieri veniva a Roma mi interessavano moltissimo dal punto di vista culturale, ma, data la mia esperienza siciliana ancora così viva, pratica e concreta, non riuscivo a vederne molto il lato politico pratico. Poi per me, ma credo per la gran parte di noi che vivevamo a Roma, la presenza e il peso in questa città della classe operaia era difficile valutarlo. Tanto è vero che poi i Quaderni Rossi sono nati pensando a Torino, non pensando alla Fatme o agli edili di Roma: che poi queste fossero realtà operaie, sociali, di classe è un altro discorso, però di fatto, volendo quella esperienza dei Quaderni Rossi indicare una via di uscita dalla rigidità del Movimento Operaio organizzato tradizionale e la ripresa delle lotte, il punto di riferimento per tutti quanti noi era il punto più alto dell'organizzazione capitalistica. Questo discorso allora era pacifico, era lì che bisognava agire, "Lenin in Inghilterra" diciamo.

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