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(pag. 7)
INTERVISTA A MAURO GOBBINI - 11 DICEMBRE 2000


Invece, a un certo punto le cose cambiano con la nascita di Potere Operaio e poi con l'arrivo dei romani e soprattutto dei bolognesi: ma su questo uno dovrebbe fare un certo discorso a parte, perché a Bologna è vero che c'era il PCI che era una specie di cappa, però è anche vero che a Bologna c'erano i socialisti, a cominciare da Piro, che prima era anticomunista e poi, ma molto molto dopo, era antidemocristiano. Allora, con queste anime spurie rispetto all'obiettivo che si diceva di voler perseguire, che era quello appunto di rompere il fronte padronale capitalistico, di liberare la classe operaia da queste sovrastrutture organizzative e via dicendo, a quel punto lì è successo un quarantotto: le cose sono finite come si sa, ognuno poi se ne è andato per conto suo, sono nati gruppi, gruppetti, più o meno segreti, ci sono stati episodi vergognosi anche all'interno dei nostri gruppi, dico vergognosi a ragion veduta, nel senso che ci sono state delle forme di cattiveria, di violenza nei confronti di compagni che fino a ieri facevano parte dello stesso gruppo, rivalità meschine, io le ho viste. Questo ha indebolito tutto, per cui è finita proprio quella che era la ricchezza delle analisi, del tentativo di capire, del discutere insieme, ed è diventata la povertà del decidere quello che si doveva fare e chi doveva decidere. Certo, l'esperienza del Veneto è diversa, come è diversa quella di Torino: in tutte le situazioni dove c'era una realtà sociale, di fabbrica e operaia forte, l'impoverimento del lavoro politico è stato in qualche modo frenato, nel senso che la realtà della Fiat è talmente grossa che, malgrado tute le miserie dei vari interpreti, questi non hanno scalfito minimamente l'importanza e il peso di quella realtà politica.


Nel suo complesso quali sono stati i limiti e le ricchezze di Classe Operaia e delle varie posizioni che in essa erano presenti?

Siccome in quel tempo stavo da poco a Milano, facevo un po' da postino, venivo spesso a Roma, mi vedevo con Tronti, e dunque ho avuto modo di vedere come i romani valutavano il nostro intervento nelle fabbriche e l'esperienza di Classe Operaia. Il limite di Classe Operaia è stato che a un certo punto l'analisi della situazione di classe, così come era stata fatta da Tronti, non ha trovato più sbocchi: in fondo l'analisi di Tronti, il discorso che lui ha fatto sul primato della classe operaia e via dicendo, era nata attraverso la riflessione indotta credo soprattutto dalle analisi di Romano Alquati, indotta propria dal referente Fiat. Cioè, con Classe Operaia si è esaurita la forza attrattiva di questo punto di partenza della dimensione teorico-pratica. Infatti, si potrebbe anche vedere quali erano i luoghi di intervento durante i primi due anni, quando è vissuto questo legame tra i compagni di Roma, Torino, Milano ecc. nei Quaderni Rossi, e poi, invece, quando nasce Classe Operaia, dove sono i luoghi di intervento: c'è una crescita proprio esponenziale, là erano l'Olivetti e soprattutto la Fiat, qua sono altre realtà. Porto Marghera significa non soltanto la grande fabbrica, i grandi porti, significa il territorio. Le riflessioni sulla fabbrica e il territorio Romano le aveva fatte al tempo della ricerca sull'Olivetti, però quella in un certo senso era vissuta come un'analisi che aveva messo un punto fermo e basta. Con Classe Operaia le soggettività esplodono, nel senso che si moltiplicano e si diversificano i quadri che intervengono e che comunicano tra di loro, perché non dico che la nascita di Classe Operaia abbia fatto aumentare il numero dei compagni che intervenivano nelle fabbriche, ma è vero che la nascita di Classe Operaia ha portato un certo numero di compagni a conoscersi, a scambiarsi le informazioni e a costruire insieme lotte per cambiare lo stato delle cose. Le soggettività poi emergono in questo modo qui, c'è qualcuno non che dà il là, ma che riesce a esprimere qualche cosa e in quel momento altri si riconoscono in quello che lui ha espresso. Allora, ci furono i primi interventi che facevamo in queste fabbriche che erano rimaste non dico abbandonate, ma avevano una presenza saltuaria del sindacato che si presentava all'ultimo momento con il solito volantino per il rinnovo del contratto. Fu importante il fatto che davanti a queste fabbriche tutti i giorni ci andavano decine di compagni, perché poi erano questi i numeri, non è che fossimo solo due o tre, sarebbe stato diverso. Bisognerebbe andare a vedere, quanti volantini si davano all'Alfa Romeo di Portello. Noi ne davamo dai due ai tremila: c'è anche un aspetto materiale che dà il senso delle cose, stavi lì, ci si andava a tutti i turni, compreso quello di notte.

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