E’ passato del tempo. Dopo un anno pubblichiamo un numero di Vetriolo, il numero 2. Fino ad ora non abbiamo dato al giornale una periodicità più assidua e nemmeno lo abbiamo voluto. Non che in questo tempo non avessimo avuto qualcosa da dire, anzi. D’altronde non abbiamo mai strenuamente inseguito la possibilità di dare una periodicità molto stretta alla pubblicazione, che per la propria forma (sia con testi di agitazione, d’analisi e di “attualità” più o meno brevi e concisi, sia con articoli teorici più estesi e complicati) non vi si addice. Allo stesso tempo desideriamo fare uscire il giornale in tempi non troppo dilatati. Comunque pensiamo che questo giornale sia uno strumento importante per il movimento anarchico aldilà dei tempi con cui riesce ad uscire. Le pagine di Vetriolo sono sempre state e continueranno ad essere un mezzo destinato alla discussione, al confronto e allo scontro tra anarchici. Questo giornale continuerà a dare spazio e tempo al dialogo e al dibattito tra rivoluzionari, anche a quelli che si trovano ad essere imprigionati. In questo numero vi sono alcuni scritti e articoli di Marco, Anna e Alfredo, imprigionati a seguito degli arresti per l’operazione repressiva “scripta manent” del 6 settembre 2016.

Gli anarchici si sono sempre appropriati di strumenti per alimentare, col dibattito e le azioni, le idee anarchiche e l’anarchismo stesso. Su questo giornale si cercherà di continuare a dare dello spazio e del tempo per il dibattito, la polemica, la riflessione, l’approfondimento, l’analisi. Non ci stancheremo di ripeterlo, si tratta di aspetti che riteniamo ben distanti e differenti dalle chiacchere, dalle sterili opposizioni, dai luoghi comuni e dalle beghe che, a nostro avviso, affliggono alcuni contesti del movimento anarchico. In quest’ottica, questo giornale non sarà mai rappresentativo, soprattutto di una qualche fazione, “tendenza” o linea da seguire o cui attenersi. Non abbiamo pensieri da contemplare, personaggi da ammirare e nemmeno bandiere da sventolare. Abbiamo, invece, la coscienza della netta differenza di determinate convinzioni nostre rispetto ad altre. Abbiamo la consapevolezza che la rinuncia dell’anarchismo significa la rinuncia di ogni possibilità rivoluzionaria e sovvertitrice. Abbiamo la volontà e l’intenzione di mettere al bando ogni gretta superficialità.

Oggi pare che, in tanti, sempre più, ci accontentiamo di assimilare fatti e nozioni facilmente memorizzabili e condivisibili. Le beneamate cose oggettive, immediate. Nulla di così complicato, e ben poco su cui poter riflettere. C’è chi esalta una vera e propria ignoranza, rigettando “la teoria” come qualche cosa di inopportuno, di noioso, di secondario. Perfino come qualcosa di autoritario. Difatti, non a caso, può capitare di sentirsi dire di “voler fregare” e ingannare qualcuno solo esponendo ed esprimendo le proprie idee. Ignoranza rivoluzionaria? Certo che no. Queste miserie sono tipiche di chi non riesce a percepire come complementari il pensiero e l’azione. Desideriamo che questo giornale non venga “fruito” passivamente, che il pensiero non resti cristallizato tra le righe e le colonne di una pubblicazione, ma che possa animare i dibattiti esistenti tra anarchici, contribuendo alla chiarificazione di intenti e prospettive, dando spazio ai vari aspetti della lotta antiautoritaria contro il potere. Proprio per questo invitiamo i compagni interessati a farsi carico della diffusione del giornale nei propri luoghi e in maniera più ampia possibile, e invitiamo anche a fare pervenire riflessioni e critiche.

Sappiamo che si tratta di un progetto ambizioso. Questo giornale raccoglie dei pensieri, ma non li raccoglie come un semplice contenitore. Ha la pretesa di volere esplorare svariati “fili” di lettura, di analisi e di riflessione che, di volta in volta, vengono approfonditi e sviscerati. Per cui, per ogni numero, non ci limitiamo a raccogliere dei testi, degli articoli, a metterli in fila e a comporli nel giornale. Inoltre una buona parte dei testi sono destinati e ideati specificatamente per questa pubblicazione, hanno un preciso significato in questo progetto. Ogni volta torniamo ad analizzare delle questioni, dei pensieri e delle idee che riteniamo importanti, necessarie o impellenti, e con queste intendiamo anche procedere nella comprensione della realtà che ci circonda. Abbiamo questa ostinazione, questa sorta di ottusità cui non vogliamo rinunciare. E voler comprendere non è, necessariamente, sinonimo di volere essere comprensibili per chiunque.

In particolare in questo numero abbiamo “scoperto” una spontanea “cospirazione” fra i principali articoli redazionali verso il tema dell’interpretazione da dare alla rivoluzione tecnologica in corso. Ne ha parlato Alfredo Cospito nella sua intervista, di cui abbiamo pubblicato la prima parte e che finiremo di divulgare nei prossimi mesi; l’abbiamo affrontata dal punto di vista filosofico dello “statuto teorico” da (non) dare al concetto di Natura, criticando i fraintendimenti metafisici all’interno dei movimenti ambientalisti; l’abbiamo ripreso anche da un punto di vista storico, sull’articolo dedicato alla nascita dello Stato, individuando nella transizione tra la cosiddetta Età del Bronzo e l’Età del Ferro il momento storico nel quale le società autoritarie implementano la loro struttura militare e la divisione del lavoro ad essa necessaria. Ma non ci siamo fermati alla teoria, abbiamo “osato” interpretazioni a nostro avviso fondamentali per comprendere l’attualità. Come nel numero precedente avevamo osservato la crisi sociale che le nuove tecnologie avrebbe recato alle classi più povere dell’umanità (a partire dal tema occupazionale, vero e proprio tabù per la riflessione anarchica degli ultimi anni), questa volta ci siamo spinti ancora oltre: abbiamo ipotizzato che le nuove tecnologie siano direttamente correlate con la cosiddetta “crisi della globalizzazione” (perché sfruttare un bambino in Vietnam, quando i padroni potranno “stamparsi” le scarpe direttamente con le stampanti 3D?) e che fenomeni come la Brexit, Trump, Orban, Salvini, ecc., siano il prodotto di questa tendenza storica verso un nuovo nazionalismo robotico.

Insomma analisi teoriche generali per afferrare gli strumenti idonei per l’attacco al mondo reale. Perché, rovesciando lo slogan che fu dei no global, “un altro mondo è impossibile, è questo che dobbiamo combattere”. Dunque si fa un gran parlare di elasticità, flessibilità, capacità di essere comprensibili dagli altri, felicità nell’adeguarsi ai tempi che corrono (ma dove vanno se corrono?). Spesso riferendosi all’elasticità si sottende l’arte del compromesso, e alla comprensibilità l’arte della mediazione. E per molti ciò significa essere flessibili, il che vuol dire anche divenire duttili, malleabili, manipolabili e allo stesso tempo incredibilmente rigidi. Perché questo mondo, in un certo senso, ci ha abituati ad essere rigidi, di una rigidità che porta ad avere i paraocchi e le catene ben piantate nella testa. Ma perché elasticità e flessibilità devono sempre, per forza, essere sinonimi di compromesso e mediazione con una realtà che ci disgusta? Pensiamo che si possa andare oltre. La nostra è l’elasticità della fionda, una flessibilità tesa a colpire più forte. Proprio per questo riflettiamo, analizziamo e studiamo lo Stato, il capitale, la scienza, la tecnologia, l’economia, le miserie della politica, le sorti del movimento rivoluzionario. Non certo per diletto, non certo per trovare un pertugio per un futuro collocamento.

 
 
All’interno:
Elastici come una fionda
2007 – 2017. Dieci anni, fra rivolte e riflussi
Convergenze parallele. Un contributo di Marco dal carcere di Alessandria
Dal fronte popolare al fronte civile
Monocultura 24 ore
Tutta la verità…
Considerazioni sulle gabbie della democrazia
L’insostenibile pesantezza dell’essere scientifico
I sogni di prigionia e la prigionia dei sogni
Infiniti occhi
Stupratore e padrone
Contro l’anarchismo di Stato
La nascita dello Stato
Quale internazionale? Intervista e dialogo con Alfredo Cospito dal carcere di Ferrara. Prima parte
I Nuovi Mostri: l’anarchismo “sociale ma non classista”
Una storia sinistra. Seconda parte (1943 – 1962)
La pacchia è finita
 
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