La pacificazione dei movimenti politici ha provocato la scomparsa pressoché totale dalla nostra società di qualsiasi anelito rivoluzionario, sostituito da una corsa frenetica per occupare le comode e calde poltrone che il potere offre. Ciò ha determinato una strenua lotta, spesso senza quartiere, per accodarsi al politico di turno, che per beceri interessi di potere viene innalzato al rango di rivoluzionario allo scopo di garantire ai politicanti “antagonisti” uno spazio di agibilità politica all’interno delle istituzioni. Come risultato assistiamo all’annullamento volontario di qualsiasi forma di opposizione in favore della concertazione e spesso della collaborazione con un sistema politico che fino a poco tempo fa era considerato ostile. Tutti questi elementi rappresentano dati di fatto tangibili che hanno delle ricadute negative su ciò che rimane del movimento rivoluzionario o insurrezionale che dir si voglia.

In un contesto simile le ultime sacche di resistenza, coloro che si ostinano a considerare ineluttabile la distruzione di questo sistema politico ed economico, sono molto più facilmente individuabili e attaccabili da parte dell’apparato repressivo statale.

L’enorme quantità di risorse che polizia e magistratura hanno a disposizione può essere utilizzata interamente e con una resistenza ridotta ai minimi termini per annientare un nemico sociale che di fatto possiede spazi di manovra sempre più ridotti.

Nello specifico il movimento anarchico è quello più duramente colpito dall’attacco repressivo scatenato dallo stato. Tutto ciò è reso possibile anche dall’uso massiccio dei cosiddetti reati associativi che si sono adeguati costantemente all’assetto socio politico della società.

Al momento decine di compagni si trovano a scontare pene detentive in carcere, ai domiciliari o costretti alla latitanza, altrettanti sono sottoposti a varie forme di misure cautelari quali firme, obblighi di dimora, sorveglianza speciale ecc. e un numero imprecisato, sicuramente altissimo, risulta indagato dalle varie procure sparse sul territorio italiano. Fra queste la procura di Napoli, che da anni scalpita senza molto successo per dare il suo infame contributo, ha fatto sentire la sua voce agli inizi di dicembre.

A seguito di due inchieste riunite in un unico procedimento, una del 2010 e l’altra del 2011, è stato chiesto l’arresto di venti compagne e compagni anarchici. Gli inquirenti ipotizzano l’esistenza di una cellula, attiva a Napoli e con collegamenti con Grecia e Spagna, legata alla FAI/FRI e che le riviste La Miccia, Invece, Blasphemia e il blog Arraggia sono gli strumenti di propaganda che l’organizzazione utilizza per divulgare i propri comunicati e le proprie rivendicazioni.

L’accusa per tutti è di associazione sovversiva (270 bis) e, per una compagna, di reati specifici riguardanti la detenzione e l’utilizzo di esplosivi. Inoltre è stato richiesto il sequestro cautelativo del Centro Studi libertari, che dagli anni ’70 ospita il gruppo anarchico Louise Michel, e dello spazio anarchico 76A, ritenuti le basi logistiche della cellula napoletana.

Il titolare dell’inchiesta è il P.M. Catello Maresca proveniente dalla DDA, nella quale è diventato famoso per aver fatto arrestare parecchi boss legati al clan dei Casalesi. Adesso, dopo gli otto anni canonici di permanenza nell’antimafia, è stato spostato all’antiterrorismo e quindi ha pensato bene, per mantenere un certo stile, di perseguire gli anarchici.

Anche lui, come altri magistrati, si diletta a scrivere libri nei quali illustra a noi comuni mortali le “importantissime” operazioni che ha portato a termine. In uno di questi ha collaborato con Leandro Del Gaudio, a noi noto perché spesso ha utilizzato il giornale su cui scrive, Il Mattino, per buttare un po’ di fango sugli anarchici napoletani. E che non ha lesinato nel divulgare la notizia del procedimento a danno degli anarchici, evidentemente imbeccato dal suo amichetto Catello in cerca di un minimo di visibilità mediatica.

L’indagine è ancora aperta per cui al momento non abbiamo ancora avuto la possibilità di leggere la cospicua mole di carte che riguarda il procedimento aperto nei nostri confronti (la sola richiesta del P.M. conta più di 1500 pagine). Non conosciamo, ad esempio, la vera entità dell’intera operazione. Nello specifico non conosciamo il numero totale di indagati visto che è plausibile che per altri compagni non sono state richieste misure cautelari. Inoltre non sappiamo su quali basi si poggia l’ipotesi investigativa del nostro zelante magistrato.

Una delle poche cose che sappiamo è che in prima battuta la richiesta è stata rigettata da un G.I.P. che non ha ritenuto validi gli elementi in suo possesso per convalidare gli arresti. Mai domo l’integerrimo pubblico ministero è ricorso in appello perché non può accettare che qualcuno si permetta di vanificare il lavoro che così diligentemente ha portato a compimento. Una delle stelle più brillanti del firmamento degli inquisitori nostrani non tollera sconfitte per cui, a quanto sembra, non mollerà la presa fino alla fine.

A monte di tutti i ragionamenti, l’esperienza ci insegna che uno degli obiettivi principali di simili operazioni è quello di disgregare, se non addirittura estirpare, un gruppo di compagni attivi dal territorio su cui agisce.

Nel nostro caso hanno sbagliato a fare i calcoli. Non abbiamo intenzione di arretrare di un solo passo. Continueremo il nostro percorso politico ed esistenziale alla faccia di chi ci vorrebbe muti e sottomessi.

La data dell’udienza d’appello era stata fissata il 14 dicembre e spostata poi al 22 febbraio per vizio di notifiche.

Aggiornamenti seguiranno appena avremo la possibilità di avere informazioni più dettagliate.

 

 

ALCUNI ANARCHICI A NAPOLI