NON CHIEDETECI LA PAROLA – a proposito degli arresti del 31 gennaio

“Non chiederci la parola che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Questo solo oggi noi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”

Sono tempi cupi, e non solo a Firenze.
Da una parte un’umanità per tre quarti annegata che muore di fame, bombardamenti, embarghi, controlli militari e di polizia, detenzione e internamento, lavoro salariato e migrazione forzata, razzismo e frontiere. Dall’altra un’umanità per tre quarti cloroformizzata, che a volte cerca di battersi contro una vita sempre più miserabile, più spesso abbocca alle sirene del potere. Odio tra poveri, riverenza per i padroni, diffidenza verso chi si ribella. A Firenze come altrove, mentre si trasforma la città in una macchina per far soldi con l’industria del turismo, chi rovina la cartolina deve essere bandito. Caccia al povero, allo straniero, al sovversivo. Cacciatori per le strade, con le divise d’ordinanza: blu, nere, grigie, mimetiche, mitra a tracolla. Il centro storico ormai vietato ai cortei, sistematicamente accerchiati o direttamente caricati. I fascisti si organizzano, aprono sedi, pub, librerie: di giorno aizzano alla guerra tra poveri, italiani contro stranieri; di notte, nella misura in cui non viene loro impedito, la praticano a colpi di coltello e spranga.
Chi non accetta tutto questo deve essere ristretto e rinchiuso.

Il 31 gennaio, sull’onda del noto “botto” di Capodanno di via Leonardo Da Vinci – “botto” che però non rientra in questa inchiesta – la Digos fiorentina ha dato il via all’ennesima operazione repressiva, entrando in diverse case, rastrellando decine di compagni per strada e notificando 10 misure cautelari ad altrettanti anarchici ed anarchiche. L’accusa principale che viene loro mossa, contornata dalla contestazione di altri reati, è di “aver costituito un’associazione a delinquere per diffondere la propria ideologia”. Due compagne, Carlotta e Filomena, indicate come “cape”, e un altro compagno, Michele, vengono messi agli arresti domiciliari, mentre per altri e altre sette vengono disposte restrizioni (obblighi di dimora, di rientro notturno o di firma variamente combinati).

Con un numero enorme di uomini – si parla di 250 – la polizia irrompe a Villa Panico per sgomberarla, ma trova un posto già abbandonato, un’avventura già conclusa e una fioriera che pensa bene di far brillare. È lo spettacolo della repressione.

Poche riflessioni, poche parole, ma fatti che parlano quasi da soli.
Accade, a Firenze, in piazza S. Ambrogio, che alcuni compagni che mettono un banchetto contro guerra e esercito per le strade vengano accerchiati e portati via dalla Digos, non senza recalcitrare. Per il codice penale, è reato di resistenza a pubblico ufficiale. Non chiedeteci la parola.
Accade, a Firenze, al termine d’un concerto sul Lungarno Dalla Chiesa, che il rifiuto di declinare le proprie generalità scateni decine e decine di sbirri contro i partecipanti, colpevoli d’essere ancora vivi e solidali. Ne nasce una rissa. Per il codice è resistenza pluriaggravata. Non chiedeteci la parola.

Ma accade anche che alcuni si organizzino per occupare le case e difenderle, per contestare militari e forze dell’ordine, impedire il dilagare della violenza fascista, nel solo modo possibile: agire direttamente contro l’oppressione. Accade che le sedi fasciste ricevano la critica della vernice, del mattone e della bomba-carta, o che la solidarietà per gli arrestati del Lungarno invada le strade di San Frediano un 25 aprile, senza chiedere permesso e lasciando sui muri il proprio segno. Per il codice, prendere parte o anche solo difendere apertamente certi fatti, è associazione a delinquere.

Ma su questo, due parole le diciamo.

Ciò che non siamo
è una misera associazione gerarchizzata. Non siamo né servi che votano senza muovere un dito, né gregari che aspettano gli ordini dei capi o delle “cape” per agire.


Ciò che non vogliamo
è passare la nostra vita a lasciarci sfruttare e comandare. Per questo non piangiamo quando ai nostri nemici torna  indietro un po’ della loro violenza. Le lacrime le riserviamo a chi muore in cantiere, in caserma, in mezzo al mare, in carcere, alla frontiera; non certo alle vetrine dei fascisti, ai referti ipocriti degli sbirri o ai muri di una città che l’Unesco dichiara “patrimonio dell’umanità”, mentre è sempre più in mano ai soli affaristi e speculatori.

Ciò che non vogliamo, infine, è che il nemico possa dividerci, con la lingua di legno del codice penale. Non sappiamo se questi compagni e compagne abbiano commesso tutto ciò di cui li si accusa. Sappiamo solo da che parte della barricata lottano, e tanto ci basta per stringerci attorno a loro.
Per farla finita con questo mondo. Per aprirne, forse, di nuovi. Ma per questo, le parole da sole non bastano.

SOLIDARIETÀ PER FILO, CARLOTTA E MICHELE!
Solidarietà ai colpiti e alle colpite dalle misure!

Assemblea solidale senza capi né padroni

Firenze, 03/02/2017