A volte capita (ahimè sempre più di rado) di andare a vivere in una casa ereditata dai nonni, di quelle anni ’40 o ’50,quegli enormi mastini che si ergono nei dedali delle vie comunali, dai colori un po’ opachi, e che come anziani saggi vegliano austeri sull’espansione del paese.
Spesso, ancora prima di traslocare, si fa cambiare la tappezzeria, si comprano nuovi mobili, si dà una spazzata per terra, si aprono le finestre di modo che le stanze ricomincino a vivere, questa volta secondo i canoni del terzo millennio: una nuova Tv ultrapiatta sostituisce la radio nell’angolo della sala da pranzo e un nuovo impianto Hi-Fi spodesta il vetusto grammofono su cui nostra mamma da bambina ascoltava i Beatles. I giornali collezionati per decenni ingialliscono in soffitta con i vecchi diari di scuola, una vecchia macchina da scrivere o da cucire è lasciata a prendere polvere in un buio sottoscala. Tutto ciò che non è più utile viene accantonato, a volte gettato, per non intralciare la nostra vita, per non darci la possibilità di fermare lo sguardo su di essi perdendo così tempo prezioso: insomma per ridurre al minimo il rischio che rugginosi ricordi inceppino la mente.
Di tanto in tanto però qualcosa rimane dal passato ad influire sulla nostra vita presente.
In alcune case rimangono ad esempio alcuni interruttori i cui fili non fanno più contatto e si perdono chissà dove tra i muri, senza accendere più alcun lampadario. Succede magari che alziamo inavvertitamente la levetta senza ricevere risposta: allora possiamo immaginare una lampadina sul soffitto o nella parete, dalla luce più o meno intensa, che proietti colori e ombre che dipingevano la stanza e che con il tempo sono svanite.
Altre volte invece rimangono sui muri esterni le impronte di una finestra o di una porta murata, e allora ogni volta che lo sguardo cade su quei solchi, non possiamo fare a meno di fermarci e di pensare a come sarebbe stata la vista da quella finestra, o l’attraversamento di quella porta, ne immaginiamo gli infissi, lo spessore dei vetri, il colore delle tende. Tutte cose che con il tempo ci sono state precluse.
Non abbiamo più il tempo di un grammofono o di una macchina da scrivere che ci consumino i ricordi. Ma ci rimane qualche attimo per dei segni distratti del passato come un interruttore staccato o una finestra murata che sequestrino i nostri pensieri al presente senza chiedere un riscatto troppo oneroso.
Spesso, ancora prima di traslocare, si fa cambiare la tappezzeria, si comprano nuovi mobili, si dà una spazzata per terra, si aprono le finestre di modo che le stanze ricomincino a vivere, questa volta secondo i canoni del terzo millennio: una nuova Tv ultrapiatta sostituisce la radio nell’angolo della sala da pranzo e un nuovo impianto Hi-Fi spodesta il vetusto grammofono su cui nostra mamma da bambina ascoltava i Beatles. I giornali collezionati per decenni ingialliscono in soffitta con i vecchi diari di scuola, una vecchia macchina da scrivere o da cucire è lasciata a prendere polvere in un buio sottoscala. Tutto ciò che non è più utile viene accantonato, a volte gettato, per non intralciare la nostra vita, per non darci la possibilità di fermare lo sguardo su di essi perdendo così tempo prezioso: insomma per ridurre al minimo il rischio che rugginosi ricordi inceppino la mente.
Di tanto in tanto però qualcosa rimane dal passato ad influire sulla nostra vita presente.
In alcune case rimangono ad esempio alcuni interruttori i cui fili non fanno più contatto e si perdono chissà dove tra i muri, senza accendere più alcun lampadario. Succede magari che alziamo inavvertitamente la levetta senza ricevere risposta: allora possiamo immaginare una lampadina sul soffitto o nella parete, dalla luce più o meno intensa, che proietti colori e ombre che dipingevano la stanza e che con il tempo sono svanite.
Altre volte invece rimangono sui muri esterni le impronte di una finestra o di una porta murata, e allora ogni volta che lo sguardo cade su quei solchi, non possiamo fare a meno di fermarci e di pensare a come sarebbe stata la vista da quella finestra, o l’attraversamento di quella porta, ne immaginiamo gli infissi, lo spessore dei vetri, il colore delle tende. Tutte cose che con il tempo ci sono state precluse.
Non abbiamo più il tempo di un grammofono o di una macchina da scrivere che ci consumino i ricordi. Ma ci rimane qualche attimo per dei segni distratti del passato come un interruttore staccato o una finestra murata che sequestrino i nostri pensieri al presente senza chiedere un riscatto troppo oneroso.
Pat
Abito in un palazzo del ’34 e gli infissi dell’appartamento in cui vivo sono forse degli anni sessanta, con tutte le mani di pittura che ne seguono la storia, le finestre non si chiudono con efficacia e la ruggine fa passare l’acqua all’interno quando piove contro il vetro. dietro la finestra posa borioso il mio macintosh. Temo un po’ per lui, ho dunque steso dell’isolante fuori dal vetro, impotente comunque al diluvio. in ogni caso l’idea di cambiare queste finestre finisce prima del punto. c’è poi l’ascensore in legno, è fuori norma. ma le norme sono fuori luogo. ed il mio luogo è prezioso.