Carlo Giuliani

Genova è un’idea, un sospiro: uno di quei pensieri che ami fare e rifiuti, invece, quando li tieni stretti tra le dita. Genova, la dominante dei mari. Genova e il suo porto, la sua lanterna e la sua scuola di cantastorie. Genova, una città di mare, col culo schiacciato dai monti.
Quella mattina Carlo voleva proprio andarci, al mare. Bagnare ed asciugare al sole quella vita tutta da costruire. Poi la radio, notizie che rimbalzano di scontri fra manifestanti e forze dell’ordine, nuove che arrivano dal corteo delle tute bianche. Chissà se poi Carlo l’ha detto a sua madre, che aveva cambiato idea. Chissà se Carlo l’ha salutata, mentre raggiungeva le migliaia di ragazze e ragazzi che assediavano la Zona Rossa, quel 20 luglio di dieci anni fa. Migliaia di cittadini assediati in una città, la loro, in stato di guerra. Migliaia di esseri umani strattonati, spinti, picchiati brutalmente solamente per pensare. Migliaia di manganelli, lacrimogeni, caschi: il braccio armato del potere a strenua difesa della zona rossa. I capi di stato dei principali paesi industrializzati del mondo, là dentro. Là fuori, ai piedi della chiesa di Nostra Signora del Rimedio c’è il corpo di un ragazzo. C’è una jeep delle forze dell’ordine che passa due volte su quel corpo esangue, e c’è chi si chiede se fosse ancora vivo, se fosse già morto. C’è una vita spezzata. Ci sono le grida della gente che corre, che scappa da tutte le parti. C’è il cielo, sopra piazza Alimonda, e migliaia di penne che scrivon parole e migliaia di voci che urlano dietro a microfoni e registratori e tutti raccontano di Carlo: punkabbestia, blackblock, antagonista, picchiatore, selvaggio e altre nefandezze rimbalzano la sera dagli schermi televisivi mentre milioni di uomini stanchi mangiano pane e verità. Là sotto, fra occhiali e zainetti e telefonini e orecchini e cappelli rimasti abbandonati, l’epicentro è quel buco che il proiettile sparato da una mano senza corpo protesa a difesa del nord del mondo ha creato sullo zigomo di Carlo Giuliani, 23 anni, solamente per aver pensato. Solamente un ragazzo.
Poli