Letture in frantumi

Capita a volte di riprendere in mano cose scribacchiate in passato e di volerle riciclare in qualche modo. È passato effettivamente un po’ di tempo da quando i miei occhi non vedevano l’ora di ultimare il libro concludendo al più presto il noioso Appunto 55, una perversa noia che valeva la pena subire solo per sconvolgere gli amici narrando le vicende del Pratone della Casilina, ovvero una serie sterminata di descrizioni di pompini. Ricordo di aver letto Petrolio di Pasolini grazie al casuale ascolto di un file audio contenente la registrazione di una conferenza di Agamben, il quale citava il libro a proposito della gerarchia che solitamente sussiste tra il testo compiuto e le bozze che precedono il risultato finale (finale?).
“Questo poema è il poema dell’ossessione dell’identità e, insieme, della sua frantumazione.”. Di fronte alla domanda se sia più importante l’opera compiuta del percorso che ha portato ad essa (percorso che potrebbe non essere però concluso), o se entrambi abbiano pari dignità, ci si imbatte nel paradosso di Petrolio. Tutto PETROLIO (dalla seconda stesura) dovrà presentarsi sotto forma di edizione critica di un testo inedito (considerato opera monumentale, un Satyricon moderno). Fonti sgretolate, materiali che si ergono a frammenti da ordinare e che vanno da finzioni letterarie come manoscritti conservati, lettere, canzonette o pezzi di giornale, alle foto dello stesso Pasolini completamente nudo. Una provocazione continua tra l›allusioni a fatti storici scottanti e l’elemento sessuale, fondamentale per il protagonista Carlo che lo percepisce come strumento per conoscere l’alterità, importante in generale per l’eccessiva insistenza delle descrizioni che ne esaltano così il fattore comico. Il riso diviene l’unico mezzo per affrontare il presente.

Tanto materiale per fare un’edizione critica, per ricostruire il “testo inedito”. Un testo che però non esiste. Ma, come rileva Giorgio Agamben, l’opera pur non essendoci è reale perchè l’accumulo di informazioni ha senso solo in riferimento ad essa. Quindi l’opera non è un romanzo, ma la “rievocazione di un romanzo”, scrive Pasolini nella lettera a Moravia. E’ un romanzo l’opera reale che non c’è e alla quale il testo si riferisce, non lo è del tutto il testo concreto esistente, creato come opera filologica e diventato esso stesso un problema filologico alla morte dell’autore. L’evento fortuito ha interrotto il lavoro, il quale doveva rimanere inconcluso anche secondo il progetto iniziale, problematizzando perciò il “dopo”del testo in due modi: in primis come progetto di un’opera compiuta (nel senso di decisione cosciente dell’autore di iterrompere il processo di scrittura) rimarcando il fatto che sarebbe stata solamente la “potenzialità” di un romanzo non esistente da ma da rievocare. In secondo luogo l’opera accidentalmente non compiuta diventa un testo utilizzato per ricostruire il progetto stesso dell’opera di “edizione critica”.
L’evento fortuito ha acuito la frantumazione e l’aura di mistero intorno alla ricerca di identità. La frantumazione ha assunto i connotati del caso e non della progettualità: quella ideata da Pasolini avrebbe comunque ricevuto un ordine che avrebbe condotto ad una possibile identità del libro, ci sarebbe stata un’indicazione, una strada, avrebbe lui stesso fornito gli strumenti per una ricostruzione. L’identità sarebbe stata la frantumazione stessa, quindi l’edizione critica. Ora l’identità, seppur supposta, è ancora più aleatoria, la frantumazione più dispersiva. Solo la morte di Pasolini ha realizzato la compresenza tra ossessione dell’identità e frantumazione. Ma non l’uguaglianza tra frantumazione e identità.
Questo poema è il poema dell’ossessione della frantumazione e, insieme, della sua identità. Non c’è il romanzo, ma nemmeno l’edizione critica ideata. Ciò che rimane è la radice cubica del romanzo. Masturbazioni logiche.

Facite Ammuina