Da dove arriva questa fobia della scoria, questo delirio di pulizia? Qualcosa di essenzialmente religioso, sacrale, si cela nel disprezzo provato dal borghese verso la feccia, verso il povero e lo straccione, il migrante e il nomade. E la lista potrebbe continuare, infinita e indeterminata per definizione: così la caccia al rosso che imperversa da tempo nella nostra città, così la guerra ai rom e alle puttane – miseri nemici per miseri cittadini – condotta dal nuovo governo Hollande in Francia.
Una mistica dell’igiene imperversa da tempo nella nostra cultura, acclamata da ogni dove, sostenuta e caldeggiata fin nelle scritture più rivoluzionarie, fino al cuore delle parole più compagne. Basterebbe rileggere Marx o Engels e il loro Manifesto, intriso di odio verso «il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società, viene occasionalmente gettato nel movimento da una rivoluzione proletaria, ma per le sue stesse condizioni di vita sarà più incline a farsi comprare e mettersi al servizio di scopi reazionari». Oppure un giurista come Neumann, ebreo, costretto a fuggire il Nazismo oltre oceano; e nonostante ciò, nemmeno lui si è dimostrato abbastanza impermeabile nei confronti di tale posizione, finendo per scrivere nel suo Behemoth che «il partito nazionalsocialista operaio tedesco era privo di un’ideologia, composto dagli strati sociali più svariati, ma sempre pronto a raccogliere la feccia di ognuno di essi». Del resto, la stessa Arendt non sembra immune a una simile tentazione, quando scrive che «soltanto la plebe e l’élite possono essere attratte dall’impeto del movimento totalitario», sottintendendo così che la classe media, la classe borghese, può esserne stata soltanto travolta ma certo non sedotta.
L’odio comune verso «la plebe vile e abietta», schiuma senza nome di tutte le classi (e pertanto passibile di ottenerne molteplici, ciascuno perfettamente sostituibile: l’Anarchico, l’Ebreo, il Lumpen, il Rom…) avrebbe così percorso tutti gli strati e tutte le faglie della società, unificando quest’ultima ben più di quanto non avesse potuto fare alcun movimento politico dotato di un nome proprio. (Impossibile qui non avvertire il duplice, inconfessabile retaggio di un simile odio, debitore tanto delle guerre coloniali, le quali per prime si erano erette contro gli Untermenschen minaccianti la nobiltà del sangue europeo e la civiltà stessa, quanto della progressiva sovrapposizione tra scienza medica e politica, che avrebbe segnato un repentino mutamento nelle pratiche e nei discorsi del biopotere, concependo la repressione come una sorta di disinfezione del corpo sociale e assimilando la lotta di classe a una malattia, una condizione patologica necessitante misure d’emergenza.)
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