Pensando al mio piccolo contributo per pagina 13 accendo il pc ad un ora troppo tarda della notte da permettere un’efficiente coordinamento pensiero-impulso-stimolo nervoso-mano-tastiera. Così erroneamente digito nobilitazione e non mobilitazione. Il mio dito si dirige verso canc ma poi mi fermo e guardo meglio la parola, si scompone, comunica e acquista significato. Da assoluta profana della lingua italiana mi permetto di giocare con le parole e creare collegamenti alquanto labili. Nobilitazione diventa così la sintesi perfetta del lavoro che stiamo svolgendo; una nobile azione nella misura in cui “il lavoro nobilita l’uomo”. Il lavoro come impegno e impiego del pensiero; come azione di informazione per raggiungere una maggiore consapevolezza. Pensare rende liberi. Poi guardo la quotidianità e concordo più con la versione riadattata “il lavoro debilita l’uomo” (M.K.) nell’ottica in cui il lavoro è mera produzione, catena forte che permette di allontanarsi (ma non troppo) dal paletto. Una zavorra che ci ricorda sempre quale mansione svolgiamo e troppo spesso ci fa dimenticare quale mente pensante siamo.
Elide
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