Ipotizziamo la concentrazione sul momento presente come metodo per comprendere e scoprire la propria vita. definiamo il momento presente in termini di tempo non per descrivere un indeterminato periodo storico ma per indicare l’istante in cui accadono le cose, in cui noi le facciamo accadere, in cui esiste la vita. Questo presente è attualmente invaso da infiniti oggetti attraverso i quali supponiamo di farne esperienza, fare esperienza del nostro presente. Ad un’osservazione sul comportamento dell’uomo nella società in cui vivo, si manifesta invece quel che credo identificare come abbandono del presente. La tecnologia che permea la nostra esistenza limita il nostro vivere a qualcosa che non appartiene al presente, per esempio quando io parlo al telefono proietto me stesso da qualche altra parte, chiunque può confermare che telefonando durante una passeggiata o un tragitto in macchina i luoghi scorrono senza accorgersi, oppure quando la realtà è mediata dall’obiettivo di una macchina fotografica o dal mirino di una videocamera in funzione della sua amplificazione (amplificazione dell’istante e dello stesso momento nel futuro per mezzo della possibilità di rivedere le stesse immagini), l’esperienza del mondo è inevitabilmente mutata; muoversi per le strade seduti all’interno della confortevole e familiare estensione del fuoco domestico ci sottrae alla comprensione della realtà a causa della rapidità con la quale quest’ultima sfugge tutt’intorno e perchè privati della capacità d’essere completamente responsabili di un mezzo meccanico, il passo più lungo della gamba in automobile è fatto normale; questi fenomeni, in forme diverse per diverse tecnologie, influenzano il nostro rapporto con il presente. Che fare dunque del nostro mondo? rifiutare in toto la tecnologia alla base di queste constatazioni potrebbe essere erroneo, essa è infatti parte della nostra evoluzione, ignorarla sarebbe come nascondere la polvere sotto il tappeto. Forse siamo di fronte ad una nuova necessità dell’uomo, la necessità di allontanarci dai nostri stessi prodotti senza eliminarli o rinnegarli, di trovare un equilibrio che ci permetta di essere presenti nonostante la realtà degli oggetti ci proietti altrove. Vero è che al momento attuale la nostra assenza dovuta al nostro stile di vita tecnologico ci obbliga alla rinuncia, una disintossicazione nel vero senso della parola ma assai più complessa perchè diversa da prodotto a prodotto. Compito arduo per due ragioni molto semplici: 1. la nostra debolezza ad abbandonare le nostre illusorie comodità che ci relegano altrove, il luccichìo del magico schermo, il comodo colpo di telefono, il liberatorio usa e getta, l’informazione con un click, chiudere gli occhi a Milano ed aprirli a New york; 2. la nostra debolezza nei confronti dell’impero del conformismo contro il quale si suppone ci dovremmo opporre e del quale chiunque è agente. Le nostre rinuncie si trasformerebbero presto in emarginazione e solitudine.
forse.
andreaechorn
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