Patologia giudiziaria 1

La medicina e la biologia hanno da sempre fornito alla politica un’intero arsenale di concetti e di finzioni a tal punto efficaci da permettere ad ogni nuova applicazione una sempre diversa partizione del sensibile. Da questo punto di vista, la politica si è sempre attuata sotto quella forma biopolita con cui oggi ci confrontiamo quotidianamente. Dalla concezione del capo o del despota come testa di un organismo perfettamente funzionale e pacificato, all’utilizzo di termini quali “cellule terroristiche” per indicare i gruppi impazziti in seno al loro stesso tessuto sociale. Non stupisce quindi che Berlusconi, a proposito del caso Mills, ricorra ad un linguaggio biopolitico per individuare e colpire la magistratura incaricata di esaminare il caso. “La giustizia penale è una patologia nel nostro sistema” e come tale – semplice corollario – essa deve essere combattuta affinché l’intero sistema non conosca il degrado. A questo punto, sarebbe troppo semplice ricondurre queste parole al noto problema che concerne l’immunità delle alte cariche dello Stato: ben sappiamo che esse godono sempre più di un ottimo sistema immunitario nei confronti di qualsiasi evento perturbatore… Altrettanto semplice sarebbe però prendere l’accusa nei soli termini di una metafora. Ora, qualificare qualcosa come patologico, significa porre in atto una marcata divisione tra ciò che è sano, e dunque normale, degno di essere tale, e il patologico, costruito sulla basa di una degradazione rispetto al primo. A noi qui non interessa sapere di quale perverso crimine si sia macchiata la giustizia italiana per ricoprirsi di tale marchio di anormalità. Quel che ci preme davvero, è capire come questo marchio e questa demarcazione effettivamente funzionino. Identificare qualcosa come patologico significa ricondurre la sua alterità all’opposizione binaria tra ciò che è normale e ciò che è altro dalla norma, esterno al sistema stesso e, dunque, pericoloso per il solo fatto di esistere. Ben sappiamo infatti che ogni sistema, a differenza di ciò che potremmo chiamare “reale”, tollera malamente ogni contraddizione e si adopera il più rapidamente possibile nella ricerca di una cura, affinchè al reale possa sostituirsi senza resti il ben più rassicurante normale.

Marco