Ogni lungo viaggio costringe chi lo vive a confrontarsi con la constatazione che, nonostante la sua assenza, tutto si muove, tutto scorre. Puerile speranza quella di ritrovare al proprio ritorno la stessa situazione lasciata alla partenza, congelata nel momento del nostro assentarci. A fronte del desiderio di essere padroni di ogni evento, ecco che scopriamo, più o meno brutalmente, che già da tempo, che già da sempre le cose si muovevano da sole – e noi con loro. Ma che tutto scorra non significa semplicemente che tutto passi, senza lasciare la benché minima traccia: ogni evento si incide sulla nostra pelle, attraversa la nostra carne. Esattamente il contrario di ciò che capita, ad esempio, su una qualunque strada, dove il passare delle auto non segna il benché minimo evento, e resta solo funzionale all’arrivo: un passare come puro mezzo negato nella sua consistenza, nella sua materialità e nella sua temporalità.
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E’ stata proprio un’auto a investire la gatta che per un anno ha vissuto accanto a me. Non la mia gatta, beninteso, ma comunque quella che ho aiutato a nascere, con cui a volte ho dovuto, assieme a Silvia, spartire il letto e -perché no? – la mia stessa esistenza. Gatta strega che a nostre spese ha voluto insegnarci come, nascosto tra le pieghe di ogni uomo, esista in agguato un divenire-gatto irrefrenabile, qualcosa di isterico idiota ed esilarante. Avrei davvero desiderato lasciarmi stregare ancora al mio ritorno, ma le cose, appunto, si agitano troppo velocemente rispetto ai nostri pigri desideri.
Non venite a dirmi che tutto ciò è soltanto normale, che rientra nelle possibilità del quotidiano, in particolare nelle possibilità inerenti all’ordine della strada. Non capireste affatto ciò che è accaduto, quell’evento che nella sua singolarità è tutt’altro che una mera possibilità. Non capireste, infine, ciò che quella gatta aveva di così singolare: essa ha vissuto proprio laddove gli altri si sono sempre accontentati di passare.
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