GHEDDAFI AMICO MIO

Come la Libia accoglie i migranti che rimandiamo indietro

Il governo italiano e l’Unione europea già dal 2008 si sono pubblicamente dichiarate intenzionate a collaborare con la Libia per contrastare l’immigrazione clandestina.
E’ la Frontex, l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che si occupa pattugliare il tratto di mare tra Africa e Italia e dal 2008 il suo budget è stato raddoppiato: 70 milioni di euro (erano 34 milioni nel 2007).
Già nel 2003 la Libia ha ricevuto da Roma 100 gommoni, 6 fuoristrada, 3 pullman, 40 visori notturni, 50 macchine fotografiche subacquee, 500 mute da sub, 150 binocoli, 12.000 coperte, 6.000 materassi e cuscini, 50 navigatori satellitari, 1.000 tende da campo, 500 giubbotti da salvataggio e 1.000 sacchi per cadaveri (dal rapporto “Fuga da Tripoli” di Fortess Europe); il tutto prima che l’Europa togliesse l’embargo a Tripoli, che seguì l’anno dopo, l’11 ottobre 2004.
Inoltre la finanziaria 2005 destina 23 milioni di euro per il 2005 e 20 milioni per il 2006 per “assistenza finanziaria e tecnica in materia di flussi migratori e asilo, nonché per proseguire gli interventi intesi a realizzare nei paesi di accertata provenienza di flussi di immigrazione clandestina apposite strutture” e pagati dall’Italia erano i voli Air Libya Tibesti e Buraq Air usati per il rimpatrio di oltre 5000 migranti tra il 16 agosto 2003 e il dicembre 2004 (sempre dati Fortess Europe).
Non sorprende quindi la decisione presa il mese scorso dal governo Berlusconi di riportare le navi dei migranti intercettate in mare verso le coste libiche.
Le polemiche sollevate dall’Onu, dalle Organizzazioni umanitarie e anche dal Vaticano sono supportate da paure fondate per la sorte delle persone riportate a Tripoli, perché stringere rapporti con la Libia significa consegnare i migranti nelle mani delle autorità di uno Stato che non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui diritti umani.
E non lo ha fatto perché sul suo territorio ci sono state e ci sono tutt’oggi , documentati da testimonianze e da denunce di Ong, pesanti violenze e abusi ai danni dei migranti che arrivano da tutta l’Africa, specie dal Marocco, dall’Egitto e dall’Eritrea, che fanno tappa obbligata in Libia per partire dalle sue coste verso l’Europa.
Chi arriva clandestino in Libia è vessato dalla popolazione locale, minacciato e derubato dai pochi soldi che ancora possiede e chi non può pagare spesso ci rimette la vita; tutto nell’impunità generale e nell’indifferenza-assenso delle forze dell’ordine. Il clima razzista è forte, soprattutto verso chi è nero e cristiano.
A preoccupare i contrari ai respingimenti dei clandestini è principalmente il sistematico uso della forza e della tortura da parte della polizia libica. I migranti clandestini, una volta catturati, vengono o rimpatriati nel proprio paese di origine in aereo (anche se lo Stato in questione è in guerra o è pericoloso per i migranti fare ritorno in questo) o caricati su camion che li scaricano lungo la frontiera libica con il Niger, il Chad, il Sudan e l’Egitto, nel mezzo del deserto del Sahara. Qui la maggior parte muore di sete e di caldo.
Spesso però alla cattura segue un periodo di durata indefinita nelle carceri per migranti. Si pensa ce ne siano circa 20 in tutto il Paese. Di solito sono magazzini adattati a centri di detenzione, sovraffollati, dove sono scarsissime le condizioni igieniche e il cibo, e non viene data assistenza medica a chi si ammala (solitamente di scabbia, dermatiti o tubercolosi).
La noma sono gli stupri delle donne detenute da parte della polizia (molte rimangono in cinte) e i pestaggi verso i detenuti maschi, “senza ragione”, come raccontano i testimoni ex-prigionieri.
In dotazione della polizia ci sono dei particolare manganelli che danno la scossa elettrica, usati per sedare le sommosse in queste carceri, che gonfiano il viso e causano cecità temporanea.
Chi ha qualche soldo con sé riesce a comprarsi la libertà, gli altri rimangono in balia dei loro aguzzini.
Non si ha notizia di nessuno che sia stato interrogato al fine di risalire ai trafficanti di uomini che organizzano i viaggi.

Ste

Piccolo contributo alla lettura dell’articolo: servizio su Lampedusa