Camminare a Torino

PROBLEMA REALE.

Camminare a Torino. Venerdì 16 ottobre. Il mattino.
Piazza Arbarello – Corso Giacomo Matteotti. Attraverso, nascosti dagli striscioni appesi alle persone in movimento i passi degli studenti seguono il piccolo camioncino in testa. Nella musica si percorre corso Galileo Ferraris. Devono essere le dieci circa del mattino. Il sole tagliente negli interstizi vuoti degli edifici intervalla la piacevole esposizione al caldo con l’ombra autunnale. Qualche persona nelle minuscole terrazze e finestre sui palazzi più in alto.
Il passo è sempre dritto. Il corso è lungo e non ha deviazioni. A dividere i due sensi di marcia della carreggiata: alberi.
Qualche minuto e la rettilinea avanzata degli studenti, il corteo, svolta a sinistra in corso Giacomo Matteotti. Un muro a sinistra. Una scritta:

ESERCITO ITALIANO
SCUOLA DI APPLICAZIONE
E ISTITUTO DI STUDI MILITARI

Ha inizio il lancio di vernice rossa. Il muro si macchia ed appare una chiazza rossa poco sopra la parola ESERCITO, qualche parola vola più alta dal camioncino di testa.
Via Pietro Micca, 20. MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) Direzione Generale Piemonte. La strada è una diagonale che taglia i quadrati urbani torinesi verso piazza Castello. La capienza del percorso restringe. Qualcuno si sgancia dal flusso di movimento e svuota un secchio d’acqua al portone di via Micca 20.
Via Po, 17. Da piazza Castello arriva ancora qualche piccolo pezzo di carta bruciato, trasportato. Il DDL Aprea, travestito da feticcio brucia, mentre uova vengono lanciate al Rettorato. (Mi stupisco seriamente della capacità di tiro dei tiratori). Poi qualcosa è lanciato alla finestra sopra i portici di via Po, si spacca un angolo del vetro. La facciata è macchiata di giallo mentre qualcuno dall’interno del palazzo accosta gli alti battenti bianchi. Ci si muove verso il Po e piazza Vittorio Veneto.
Scivolano via Vanchiglia e corso San Maurizio, fino a via san Ottavio e Palazzo Nuovo (sede delle facoltà umanistiche di Torino).
Il PROBLEMA REALE. Qualcuno entra nell’atrio di Palazzo Nuovo, poi oltre le scale, la sale lauree. Qui si appendono gli striscioni. Tentativo di dibattito. Il centro dell’arrivo alla sala è quello che riguarda la cancellazione degli spazi esami (la prolissità di termini sembra imporre un’espressione qui generica) di novembre ed aprile. Poi il discorso si centralizza nel PROBLEMA REALE. Ossia il particolare, concreto (reale appunto) nucleo di disagio che legittimerebbe – solo nel caso della sua sussistenza – una azione di protesta. La questione qui è valutare (il dibattito si è snodato tra occupanti della sala e due docenti) se sia possiblie affiancare: 1) Il disagio dell’eliminazione degli esami di novembre ed aprile, 2) il PROBLEMA REALE (così come è stato coniato da uno dei due docenti intervenuti).


Il doppio movimento che si produce con il
PROBLEMA REALE è quello di un allargamento della giuntura Malessere-Politica. Si apre lo spazio dell’impasse: 1) il malessere condiviso, politico, è spinto nel terreno dell’astratto e del non fattibile; gli esami di novembre-aprile non sono affrontabili come terreno di protesta collettiva; il malessere è congelato; 2) in luogo del direttamente politico, il malessere congelato, subentra il PROBLEMA REALE in quanto fondamentalmente privato; indivuduale; il reale diviene un caso del particolare e non-collettivizzabile; ognuno con il suo, ognuno solo con il suo.

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