
Torino, continua il cammino in piazza Castello, alle spalle delle percussioni che suonano al termine della via delle istallazioni rosse, Garibaldi. Ci sono dei cartelli bianchi sulla sinistra. In ognuno un nome (alcuni tuttavia restano anonimi). Traspare l’età, qualche altro segno dell’identità di chi è trascritto in caratteri neri sul bianco della carta. Detenuti, ritenuti a causa del possesso di sostanze. Poi l’epigrafe che parla di qualcuno che smette di esserci. Sono tutti quei cartelli a parlare di morti. Ed è pesante.
Trascrivo qui alcune parole di Dario Malventi ed Alvaro Garreaud, in Espai en Blanc, Vida y Politica.
“La tua prigione è il possibile. Agorà penale. Il nostro punto di partenza è la mutilazione. Crediamo che i meccanismi del carcere siano il prolungamento di una mutilazione anteriore all’incarceramento, gli stessi che agiscono nel mercato del lavoro, nei quartieri, nelle relazioni sociali, quelli che stabiliscono la differenza di classe.
Lo stato incorpora tutta la società in un istituzionalizzazione della guerra nella sua economia politica di governo. In questo passaggio il carcere, aperto e chiuso, opera come laboratorio di costruzione di concetti operativi sull’umano, conseguenza di una iperproduzione di relazioni sociali asimmetriche. Un’umanità sacrificabile (dell’esclusione, degli illegali) ed una intoccabile (degli inclusi, i legali). Due umanità quindi, risultato di un processo di militarizzazione della vita sociale e della socializzazione della vita militare. Una mutazione che circola come dispositivi di governo, come moduli di isolamento, come estensione del controllo fuori delle mura attraverso i programmi di re-inserimento.”
Il cammino in piazza si alimenta di un discorso sulle carceri, nelle carceri, nato nell’incontro con un detenuto spagnolo. Il suo caso era stato dimenticato, il giudizio sospeso, mentre lui rimaneva recluso. per ottenere la parola, la possibilità di un discorso momentaneo, decise di tagliarsi il mignolo di una mano. La mutilazione si ripeté ad un anno di distanza. Ottenne nuovamente l’apertura del canale comunicativo dalla sua cella. La sua detenzione venne in conseguenza ridimensionata. Dopo la parola.
Così, camminando lungo i nomi dei detenuti-morti, in piazza Castello, rimane una forma di parola, il racconto biografico delle epigrafi.
Pugnedere è un contagio di cartelli.
Rughe
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