“24 ore senza di noi” è lo slogan dello sciopero dei lavoratori immigrati indetto il primo marzo 2010, iniziativa nata in Francia e presto allargata a tutta Europa. Migranti, insieme a seconde generazioni e a italiani, sono scesi nelle piazze delle città d’Italia a manifestare “accumunati dal rifiuto del razzismo, dell’intolleranza e della chiusura che caratterizza il presente italiano” (www.primomarzo2010.it) per chiedere diritti e visibilità, dignità e integrazione.
Richieste legittime e comuni ai migranti in tutti gli stati, che però si articolano in modo diverso a seconda della specificità del luogo e dei suoi particolari problemi.
Qui da noi, non stupisce se nel rivendicare tutto questo forse il pensiero corre a Rosarno. Cittadina di 15.000 abitanti, 200 affiliati alla ‘ndrangheta, il 9 gennaio di quest’anno si è trovata senza un solo abitante immigrato. Tutto ha inizio quando da un’auto vengono sparati dei colpi di fucile su un gruppo di braccianti africani che tornavano al loro accampamento dopo il lavoro. Due di loro rimangono feriti. La reazione è violenta, e nella guerriglia urbana si riversano la rabbia e la frustrazione per l’ennesimo atto di disprezzo di cui sono vittime (già l’anno prima era avvenuto un fatto simile, una sparatoria in stile rappresaglia), la disperazione per le misere condizioni di vita che la società impone a chi lavora schiavizzato nei campi del sud Italia a raccogliere frutta e verdura; la stessa che ci viene poi venduta nel supermercato sotto casa. Il sistema della raccolta degli ortaggi sfrutta la parte più debole della popolazione, appunto i migranti, sia regolari che irregolari, per un lavoro pagato pochi euro all’ora, in nero; per questo senza potersi permettere una casa, sono costretti nei ghetti degli accampamenti di periferia fatti di baracche e tende, dove l’unica assistenza di base è fornita dai volontari di Medici Senza Frontiere.
Ma il peggio della violenza deve ancora venire: a quella nata dall’esasperazione dei diritti negati segue quella xenofoba dei cittadini (italiani) di Rosarno. Per difendere la loro città, i loro spazi e il proprio quieto vivere, scendono in strada aprendo una caccia al nero, al diverso, armati di spranghe e fucili. Barricate, scontri e botte (da parte ora degli abitanti di Rosarno) hanno avuto come risultato l’allontanamento degli africani, sui pullman messi a disposizione dalle forze dell’ordine.
Forse il pensiero corre anche alla legge che rende reato l’immigrazione clandestina, entrato nella nostra legislazione con il Pacchetto sicurezza (luglio 2009), lo stesso che istituzionalizza le ronde. Un’efrazione amministrativa diventa un crimine, ti rende un reietto in una società che già fatica ad accoglierti.
O forse il pensiero corre proprio alle lungaggini burocratiche che rendono difficilissimo avere il permesso di soggiorno (ovviamente a pagamento, dagli 80 ai 200 euro).
Magari il pensiero corre ai Cie, i centri di identificazione ed espulsione, dove si viene trattenuti contro la propria volontà, per non essere in regola con i documenti, in attesa di essere rimpatriati, anche fino a sei mesi.
Il pensiero corre anche ai respingimenti dei barconi di quest’estate, senza prestare aiuto ai passeggeri né tanto meno verificare la presenza di persone in diritto di ricevere asilo. Quel che è peggio i respingimenti sono stati verso (e in collaborazione con) la Libia, paese nel quale lo status di migrante ti getta nella completa assenza di ogni forma di tutela. Qui lo Stato di diritto è sospeso per i clandestini che internati in apposite prigioni (di solito di fortuna) sono vittime di violenza sistematica, nell’omertà-assenso del governo libico. E in quella dello Stato italiano.
IL PERCHE’
Considerazioni personali sulle motivazioni dello sciopero-manifestazione del primo marzo
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