A partire dal lato meridionale (collinare) del Po, dal ponte che esce da piazza Vittorio Veneto. Il salire, in affannoso ricercare dove i giardini privati non colgono tutta la terra. Uno slargo, un pezzo tra gli alberi dove fermare il passo. Lungo viale Thovez la scritta sul muro: “laboratorio Abruzzo”, e quindi ogni riferimento a ciò che da L’Aquila è uscito, dai campi. A salire la strada comunale Val Salice, e la nebbia che cancella alle spalle Torino. Malinconia a rimbalzi tra il marciapiede ed i muretti che separano ogni possibilità di fuga dalla strada principale, spopolata ora dalle automobili. C’è ancora neve, ed aumenta salendo.
In cima, o in fondo, alla collina, non si apre ancora uno spazio senza confini edificati. Fino al parco della Rimembranza (una ampia porzione verde che ha ricevuto nome dall’esigenza di ricordo dei morti della Prima Guerra).
“Aiutatemi a violentare la città” continuando a camminare nella neve, e nella nebbia. Nessun suono oltre il respiro ed il rumore dell’affogare del passo nella neve. “Per non esserne violentati” e sentire i passi pesanti di una persona che cammina al di sopra del mio stare immobile, mescolato al suo respiro. Divenire neve, nel parco. C’è una piccola porzione di staccionata, nera, nel mezzo della stradina. All’indietro, proiettati alcuni alberi sfocati. Alcune tracce, ma soprattutto assenza di comprensione di ciò che sta accadendo. Sbilanciando ogni movimento in avanti, nel calore del passo, e nel timore di ogni nuovo metro posto alle spalle.
Nel punto più alto del colle, in mezzo ad un cortile di cemento: il “faro”, dove si legge: “gli operai di ogni opera (…) dal loro capo Giovanni Agnelli” e l’omaggio monumentale sottoscritto dalla Fiat. Il ricordo, del sacrificio, il capo, come sostegno della memoria operaia, il capo. Intorno al faro, la nebbia, non un rumore, nessun ricordo, da ricordare.
In cima, o in fondo, alla collina, non si apre ancora uno spazio senza confini edificati. Fino al parco della Rimembranza (una ampia porzione verde che ha ricevuto nome dall’esigenza di ricordo dei morti della Prima Guerra).
“Aiutatemi a violentare la città” continuando a camminare nella neve, e nella nebbia. Nessun suono oltre il respiro ed il rumore dell’affogare del passo nella neve. “Per non esserne violentati” e sentire i passi pesanti di una persona che cammina al di sopra del mio stare immobile, mescolato al suo respiro. Divenire neve, nel parco. C’è una piccola porzione di staccionata, nera, nel mezzo della stradina. All’indietro, proiettati alcuni alberi sfocati. Alcune tracce, ma soprattutto assenza di comprensione di ciò che sta accadendo. Sbilanciando ogni movimento in avanti, nel calore del passo, e nel timore di ogni nuovo metro posto alle spalle.
Nel punto più alto del colle, in mezzo ad un cortile di cemento: il “faro”, dove si legge: “gli operai di ogni opera (…) dal loro capo Giovanni Agnelli” e l’omaggio monumentale sottoscritto dalla Fiat. Il ricordo, del sacrificio, il capo, come sostegno della memoria operaia, il capo. Intorno al faro, la nebbia, non un rumore, nessun ricordo, da ricordare.
Rughe
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