DELIRI DI UN PRIGIONIERO.

Assordante guida alla pazzia
è il silenzio che mi circonda
mentre osservo, piatto e immobile,
l’oceano dormire al mio fianco
senza respiro;
mentre fisso, nitida,
l’ombra dell’inferriata riposare pigra
sul pavimento.

Maledico questa tranquillità,
irriverente boia
narcotico disequilibrio statico uniforme.

Compagna, discreta e mostruosa,
la bonaccia, di giorni notti settimane
timidamente disegnate dal volo d’albatro.
Sporadiche visite d’un corvo
rompono lo standardizzato inseguirsi
di giornate stampate da un unica matrice.

Solo il loro batter d’ali risuona a poetici versi
che mi allontanano dal folle retto cammino
del maligno silenzio.

Uragano e tempesta
migliori compagni sarebbero
in questo mio naufragar eterno.
Vedere quell’ombra saltare frenetica e irrequieta
tra i muri della cella
gradito sollievo a questa mia pazzia darebbe.

Attorno e dentro me
un anestetico stato permanente,
accecante di giorno, insonne la notte.

Chiudo gli occhi. Li riapro.

La realtà è un affamato
e stanco estraneo in casa.
Solo la follia conserva la freschezza
tipica della mia età.

Chiudo gli occhi. Li riapro.

L’oceano, orribile cella, stringe
sempre più le pareti attorno a me.
Lo sguardo fissa il suo volo,
bianco, l’albatro mi conduce oltre il ponte
sospiri ultimi, in quel labirinto di calli,
echeggiano a risata
nella città raggiunta.

L’ombra, ora, sembra ballare sul pavimento.
Quel tempo senza fine sembra muoversi
come quando, immersi in un oceano sconfinato,
vediamo apparire terra all’orizzonte.
Il corvo, nero, mi conduce sicuro
tra le buone arie fin alla bocca,
alla sua bocca colorata.

Dimenticando la realtà. Dimenticando la follia.