Se con ‘dispositivo’ intendiamo qualsiasi cosa che agisca nel catturare e governare l’esistenza stessa delle singolarità viventi, si potrebbe allora contrassegnare la Jeune-Fillecome il dispositivo più radicale che sia mai stato dispiegato, nella microfisica del potere, allo scopo di rendere i corpi politicamente inoffensivi. Per quanto essa abbia elevato il desiderio, la seduzione, la giovinezza e la sensualità al rango di macchine da guerra, l’esistenza della Jeune-Fille, estremamente docile e malleabile rispetto ad ogni spinta e ad ogni pressione, ricorda più la duttilità della materia molle che la resistenza informe insita nella carne: se la seconda coincide con l’aver luogo di incessanti metamorfosi, la prima non è altro che la sua copia diabolica, il luogo accogliente e privilegiato di infinite identificazioni, di contraddittori processi di iper-soggettivazione (e, dunque, di iper-assoggettamento).
L’estensione del dispositivo della Jeune-Fillea tutte le categorie sociali prolifera di pari passo con il recupero radicale di ogni scarto – di ogni parte maledetta, secondo le parole di Bataille – da parte del capitale e della macchina economica. Sostenuta dal diffondersi capillare di un etero-fallo-centrismo in grado di permeare e riterritorializzare anche il più infimo dei rapporti sociali – secondo un movimento che porta a considerare ogni esistente, e dunque anche se stessi, come puro accessorio disponibile al proprio (?) desiderio -, ogni Jeune-Fille il proprio essere in situazione non tanto come una costante situazione di crisi, bensì come un campo di battaglia in cui il politico deve costantemente essere immunizzato attraverso il susseguirsi delle individuazioni. Ogni individuazione si riversa così senza sosta nell’infinità virtualità di relazioni che permette ad ogni cosa la puntuale attribuzione di un rapporto e di un valore. Borghesi e drogati, adolescenti, donne, criminali, politici e rivoluzionari. E ancora: modelle, omosessuali, padri di famiglia, studenti, artisti. La Jeune-Filleè la veste gloriosa e perfettamente apparente attraverso la quale si perpetra nel mondo ridotto a spettacolola cosmesi della catastrofe antropocentrica. Veste privilegiata ed ambita, massimamente desiderata: quello che nella Jeune-Fillesopravanza rispetto al concetto ingenuo di dominazioneè infatti la preminenza della cura del sé, dell’endosorveglianza, rispetto alla semplice costrizione. La posta in gioco è nientemeno che quella del controllo totale – e totalitario – di ogni singolo frammento di vita, la sua inclusione nelle relazioni di potere, la sua sottomissione nel processo di antropomorfosi del capitale (dopotutto, cos’è la Jeune-Fillese non il compimento al massimo grado del concetto di capitale umano?). Ecco allora la strategia della Jeune-Fille: similmente a quanto accade per ciò che chiamiamo «’umano», essa tenta di contrarre la propria natura in pura tautologia, a tal punto essa trova nella propria rappresentazione, nel proprio spettacolo, tanto la sua più intima giustificazione quanto la sua più diretta teleologia. Ed è proprio in questo sotterfugio che si smaschera la portata costitutivamente umana del suo valore: «La Jeune-Fille è il presente, e forse già il passato, dell’uomo». Essa segna la nostra cattura in quel dispositivo di assoggettamento rispetto al quale siamo già da sempre in ritardo.
L’estensione del dispositivo della Jeune-Fillea tutte le categorie sociali prolifera di pari passo con il recupero radicale di ogni scarto – di ogni parte maledetta, secondo le parole di Bataille – da parte del capitale e della macchina economica. Sostenuta dal diffondersi capillare di un etero-fallo-centrismo in grado di permeare e riterritorializzare anche il più infimo dei rapporti sociali – secondo un movimento che porta a considerare ogni esistente, e dunque anche se stessi, come puro accessorio disponibile al proprio (?) desiderio -, ogni Jeune-Fille il proprio essere in situazione non tanto come una costante situazione di crisi, bensì come un campo di battaglia in cui il politico deve costantemente essere immunizzato attraverso il susseguirsi delle individuazioni. Ogni individuazione si riversa così senza sosta nell’infinità virtualità di relazioni che permette ad ogni cosa la puntuale attribuzione di un rapporto e di un valore. Borghesi e drogati, adolescenti, donne, criminali, politici e rivoluzionari. E ancora: modelle, omosessuali, padri di famiglia, studenti, artisti. La Jeune-Filleè la veste gloriosa e perfettamente apparente attraverso la quale si perpetra nel mondo ridotto a spettacolola cosmesi della catastrofe antropocentrica. Veste privilegiata ed ambita, massimamente desiderata: quello che nella Jeune-Fillesopravanza rispetto al concetto ingenuo di dominazioneè infatti la preminenza della cura del sé, dell’endosorveglianza, rispetto alla semplice costrizione. La posta in gioco è nientemeno che quella del controllo totale – e totalitario – di ogni singolo frammento di vita, la sua inclusione nelle relazioni di potere, la sua sottomissione nel processo di antropomorfosi del capitale (dopotutto, cos’è la Jeune-Fillese non il compimento al massimo grado del concetto di capitale umano?). Ecco allora la strategia della Jeune-Fille: similmente a quanto accade per ciò che chiamiamo «’umano», essa tenta di contrarre la propria natura in pura tautologia, a tal punto essa trova nella propria rappresentazione, nel proprio spettacolo, tanto la sua più intima giustificazione quanto la sua più diretta teleologia. Ed è proprio in questo sotterfugio che si smaschera la portata costitutivamente umana del suo valore: «La Jeune-Fille è il presente, e forse già il passato, dell’uomo». Essa segna la nostra cattura in quel dispositivo di assoggettamento rispetto al quale siamo già da sempre in ritardo.
Marco
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