I luoghi della marca: città e immagini

“se ami qualcuno portalo a Verona…”

La città è impegnata in una costante produzione di immagini. Sono immagini di sé che ne costruiscono il suo apparire in un certo modo, ponendone in evidenza un’angolazione, un preciso sguardo viene attratto. Oppure immagini che sottolineano le sue diverse proposte: più che uno zoom su un dettaglio, si presentano come immagini totalizzanti della città, un preconfezionamento tendente al migliore dei consumi possibili. O ancora, immagini che ripropongono ciò che essa è già, nell’apparenza o nel “reale”, sedimentando così il corpo della città e le sue sfumature.

La città produce immagini e con queste si vende al prossimo. Sono immagini che riguardano una sua certa prospettiva, un mettere a fuoco un dettaglio e riproporlo totalizzante, in modo che tra questo, le altre immagini e il nome della città si intrecci un rimandarsi l’un l’altro immediato. Immagini che confluiscono nel nome stesso della città, ne producono il peso, l’appetibilità. Verona città romana partecipa alla Verona Romeo e Giulietta, ne prende parte. Così ogni città sotto il nome di Verona, piuttosto che essere in conflitto con tutte le altre, partecipa alla marca e ne va a delineare alcune curve, a smussare angolature in modo che ogni faccia abbia ancora più sex appeal. Un lavoro di spontanea precisione: nella stessa misura in cui un turista che va in Italia non può non vedere Roma o Venezia (o una qualsiasi città che compone la marca Italia), una città-marca non può scostarsi troppo da un suo flusso, da una sua inerzia, dal dover rispettare il percorso che essa stessa ha inaugurato. Meglio, non vuole. Tutto quello che ha è la sua inerzia e la sua attitudine a dare precisi ritocchi capaci di mantenerla sul mercato.

La città-marca, dunque: il suo governo non è altro che un grande gioco di marketing in cui la sfida è vendere al meglio il prodotto attraverso un’alchimia di segni, simboli, codici, macchine aleatorie, referenze culturali. Il tutto totalmente liberi dal problema della merce: non esiste il prodotto in realtà, esso si esaurisce nelle 1500 fotine scattate alla Sagrada Familia, nella coppetta di orxata o nella mano sulla tetta di Giulietta. Esiste solo la marca, fluida, multisfaccettata, serpeggiante, onnipresente, invadente. L’impianto della città non poggia più sulle fondamenta della produzione, ormai tenuta e trattenuta ai margini, ma sulla vendibilità della propria immagine – e dunque, ad esempio, sulla cura e conservazione della città stessa, o chirurgico rinnovo impregnato di tecnologia, arte contemporanea e futuro. Tendenza all’eterna novità, propulsione verso la sempre più vincente convenienza dell’offerta, massiccia occupazione di territorio, euforica messa in posa di sé stessa. Quali forze muovono tutto questo? Che vita si sta producendo nelle città? Non si tratta più di sola museificazione e spettacolarizzazione della storia: le “domeniche in bicicletta” promosse dalla sinistra ecologista, le zone pedonali chiuse alle autovetture, i parcheggi a pagamento lontani dal centro storico ma collegati ad esso attraverso i trasporti pubblici, ed altri lievi spostamenti del flusso continuo, in aggiunta alle offerte della marca, non seguono forse una strategia comune che si spinge ormai al di là della città-museo?

Nella città-marca c’è spazio per chiunque: essa riesce a (in)trattenere sia i turisti che i cittadini che disprezzano il turismo -o anche solo una sua parte- nella “propria” città. Turisti e cittadini dunque, ma anche chi rimane emarginato dalla città, dimenticato e oppresso, rientra in essa: se ne marca la sua marginalità, se ne traccia la distanza dall’offerta e la si percorre per mantenerla. Economie dell’eterodossia concessa e gestione dei diseredati rispondono ancora una volta a marche, immagini e simboli, addensati attorno alla città. Così mi chiedo: la città, proponendosi in un certo modo, non opera anche una “creazione” del cittadino? Non indirizza già il consumatore (presente in essa, ancora il cittadino), lungo le medesime direttive che essa percorre? Perché in alcune prospettive il cittadino di Verona è differente da quello di Torino? o Bologna? o Brescia? non è anche per questo modellare di cui è capace la città, lungo le traiettorie della marca? ed il turista stesso, non viene anch’esso modellato dalla città? Procede sorridente nelle strade della città che si propone attraente per lui e/o lei e qui ne viene ancor più marchiato, proprio come accade al cittadino.

Tra i passanti e la città sembra aprirsi un rapporto di tensione reciproca che ha nell’occhio stupefatto il punto d’arrivo e nell’occupazione totale e totalitaria il punto di partenza.

Oreste Zorzi