La prospettiva è parziale: ad ogni svolgimento di fatti, ai fatti s’incasellano gli uomini, le cose, i luoghi, i momenti. Sembra davvero difficile riuscire ad affiancarsi agli accadimenti senza la pretesa di inquadrarli in cornici più grandi. Rimanere parti parziali degli svolgimenti e non curatori, tutori di essi.
Se una folla si muove da una piazza ad un altra, bruciando i margini della strada, svellendo il cemento ed i sassi per farne un’arma; se degli uomini in un angolo pregano ed insieme coprono con la bandiera di un paese arabo; se le donne urlano a bocca scoperta oppure attendono in casa il ritorno del marito con il cibo pronto. Ci sono cortili di intonaco che divengono moschee, dove al mattino, alla sera si odono le invocazioni; nella piazza al calare del sole svaniscono le donne, le porte delle case rimangono socchiuse, il rumore finisce.
I movimenti delle mamme giunte in solidarietà ad una famiglia in sfratto sembrano quelli dei galleggianti nel mare: prima sotto, vicini ai muri e ai bambini, poi sopra riemergono, si allontanano timorose, di un codice civile e penale (poliziesco) e di un confine religioso e familiare che ha dei margini estremamente chiari.
Le città italiane che cominciano a sperimentare l’immigrazione devono aprirsi. Non esiste più alcuna categoria valida per rinchiudere in maniera anche solo approssimativa i generi del cittadino. Non può dirsi studente senza riguardare l’immigrato, non può chiamare rivolta se non con gente totalmente straniera ed ignota. E chi lavora, come lavora, che lavoro, come si intende l’impiego che dona sussistenza quando la sussistenza stessa non è intesa al pari dal cittadino.
Se al di sotto delle categorie urbane si crea un vuoto, perché il vuoto è già nelle città (nel momento in cui alla popolazione esistente non esiste una controparte esattamente contabilizzata), allora forse è in quel punto che c’è da farsi parte.
Senza pretese, archi tesi e frecce scagliate al centro, di dargli un volto (che sia disagio, che sia sicurezza, che sia rivolta, che sia periferie) ma mescolando il proprio volto in quell’ignoto, che è presupposto per l’avvicinamento, e forse, per la massa.
Rughe