«Quello che avviene ora è che il capitale in quanto selbstzweckmaschine (macchina che ha il suo fine in se stessa) si è unito con la circolarità della vita. Questa realtà che ci si presenta come pura ovvietà la (ri)produciamo semplicemente vivendo, più precisamente, vivendo la nostra vita.»
Lopez Petit
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Si potrebbe rubricare tale evento quale diretta espansione di un principio di utilizzabilità generalizzata. In altri termini, ciò che qui viene a compiersi è niente meno che un’opera di tecnicizzazione senza eguali, all’interno della quale ogni movimento, singola pulsione o abbozzo di divenire, devono essere da sempre ripresi all’interno di un regime di utilizzabilità. Se la mobilitazione del corpo ha sempre costituito il mezzo più efficace che il potere potesse annoverare nel proprio arsenale, questa mobilitazione si è sempre dimostrata – pur nel suo darsi come totale – alquanto parziale: sia nella società disciplinare, dove la repressione si scagliava contro i corpi per ghermirli, sia nella società del controllo, attraverso la quale la normalizzazione perseguita incideva i corpi fino a torcerli contro se stessi (individui schizo e intermittenti), il movimento di mobilitazione incontrava già nel suo darsi le proprie zone di opacità, i propri residui inutilizzabili o rivoltanti.
Diversamente da ciò, la mobilitazione ipermoderna si è spinta là dove nessuna precedente mobilitazione totale era riuscita a penetrare: nella tecnicizzazione totalitaria, non tanto del corpo o dell’individuo, quanto piuttosto delle stesse forme-di-vita. Tecnicizzazione a tal punto totalitaria da confondersi – se non compiutamente, per lo meno continuamente – con le nostre stesse vite, rese trasparenti a se stesse. Rese trasparenti (con tutta la violenza mostrata da questo participio presente) in ogni respiro, in ogni battito, fino all’infima pulsazione, finché tutto ciò non tra-sparirà nella giusta adeguatezza a quel movimento di cui le forme-di-vita desiderano farsi carico – movimento che, in realtà, quale prezzo insito in ogni tecnicizzazione, si farà a suo turno carico delle stesse forme-di- vita. Circolarità (del) capitale della vita.
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Il principio di utilizzabilità generalizzata (o di tecnicizzazione totalitaria) coincide con il nuovo Führerprinzip ad uso delle novelle aspiranti forme-di-vita, confezionate su misura per l’individuo che, preso in un incessante movimento di appropriazione, vuole afferrare e governare la propria esistenza (e la configurazione di uno «Stato paranoico che – estraendo dai segni erratici, emessi dalla realtà, un “tutto ha senso” – inventi continuamente nemici da attaccare», non è altro che la sua controparte così come il suo complemento). (Del resto, dimenticare ciò significherebbe mancare del tutto la portata di un concetto quale quello di “società spettacolare”: mancare, in primo luogo, il conflitto che abita ogni forma-di-vita, nel momento in cui questa si spinge fino ad offrire – ed offrirsi – se stessa quale Spettacolo.) «Il fascismo postmoderno non produce individui normalizzati ma esattamente l’opposto, individui con iniziative e inquietudini, in altre parole, capitalisti di se stessi». Il passaggio dalla fabbrica all’impresa, l’impero del Management, non alludono che a questo: alla compiuta realizzazione della forma-di-vita gestionale e non più – o meglio: non più solamente – gestita. Non più uomo recluso, non semplice uomo indebitato, bensì uomo capitalizzato, nel quale ogni divenire, ogni slittamento è colto solo nell’atto della sua capitalizzazione, della sua tecnicizzazione. Le due operazioni, del resto, procedono congiuntamente, poiché all’interno del regime capitalista l’evocazione volontaria dei divenire e degli slittamenti delle vite si da sempre quale strumento nelle mani del fascismo postmoderno. (E’ così sui divenire e sugli slittamenti, ben prima di ghermire i corpi, che si abbatte in modo privilegiato il peso della disciplina.) Non più recluso, dunque: poiché nessuna immaginazione di un fuori interverrà a lenire il suo disagio. Non semplicemente indebitato, poiché nessun creditore potrà mai rimettere la sua condizione, risolvere o deporre il legame che lo cinge. Se «vivere la nostra vita» deve così giocoforza comportare tanto la «nostra» impossibile reclusione quanto il «nostro» ineluttabile stato-di-debito, ciò è perché di questa «nostra vita» è stato fatto – non senza una certa dose di malizia pubblicitaria – un «proprio» appropriabile solo al prezzo di neutralizzarne l’aspetto comune e tecnicizzarne i residui inammissibili, inutilizzabili.
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«Tranne poche eccezioni, però, simili atteggiamenti caricaturali sono diventati la principale ragione di vita, di lavoro e di sofferenza per chiunque manchi del coraggio di votare la società ammuffita in cui vive a una distruzione rivoluzionaria. Intorno alle banche moderne, come intorno agli alberi totemici dei kwakiutl, il medesimo desiderio di offuscare gli altri anima gli individui e li trascina in un sistema di piccole parate che li acceca reciprocamente.»
Bataille
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