Anche se vien giù la tempesta

Selvaggi sulle colline si arrampicano, discendono, si disperdono tra i cipressi rimanendo per sempre visibili dalle case più base, lungo il fiume. Ombre oscurate al riparo dal sole tra le fronde. Poi, avvolti in corti grembiuli neri, corrono gli abitanti delle torri in numerose processioni pomeridiane; inseguono apparizioni di animali che, portati dal vento, sconvolgono i cespugli come temporali. L’uomo al tamburo sta fermo al pioppo che divide il colle, tra settentrione e meridione, in due discese tremende, alla campagna, ai ponti.

Il popolo della città abita silenziosamente, con i suoi fabbricati e le sue opere, le ore soleggiate del giorno, che la notte è ferma ed è dominata dalle case senza più luci.
Le pareti nei vicoli sono un lontano ricordo delle mura altissime sui colli, dove ogni istante percorrono, vigilanti identici alle prime avventuriere della pianura, così abituali al cammino sulle strade dei raccolti.
Sembra possibile confondere un passante con un altro, così come una torre all’altra, così come un ora con quella dopo.

Immoto pomeriggio e curve di case, mai troppo elevate, tra balconi a cui s’affacciano le governanti issate sul lento lavorio del giorno. Tavole riempite e svuotate, oggetti spostati e rimessi al loro posto, divise tolte, piegate e riaperte, prima che la notte fermi ogni cosa.

Ci sono gruppi di persone che a gruppi, a collettivi, camminano urlanti nella contrada del fiume. Bandiere nere s’aprono e s’innalzano, con i tumulti, scale e pulpiti e promontori, affatto diversi dal quotidiano farsi e disfarsi delle intenzioni. Il profeta calvo discute con i figli: di leoni che della preda fanno pasto. Ad un cenno di costui, tutti i cuori sono unanimi e combattenti: c’è da avanzare innanzi al nemico, come eroi che in schiere son tutti uguali e tutti valorosi.
La muta si compone e si muove a passo lesto, con le bandiere, gli araldi e le armi pronte. Cento leoni aizzati.

Dalle torri s’avvista tempo di burrasca e le vedette urlano nei canaloni che scendono a valle: corrono tutti, fuggono dal fiume e dalla contrada oltre i ponti. E così le belve perdono il loro comandante, caduto a terra dopo uno sbandamento dei fratelli. In pochi momenti, la piazza è svuotata, prima del notturno, tra le ali che formano lo spazio perduto del deserto.

Pare che a Verona, tra cornicioni e ringhiere, accrescano in urti e in mucchi, individui in corsa con bandiere nere sulla schiena. Il carro che sostenne il comando, è lanciato solitario, nel luogo dove la tempesta è più forte. E che nemmeno le tettoie riparino i credenti che lo seguono in lunghi balzi. 

Tettoia