Senza legittimità è il potere

Senza legittimità è il potere. Ed esso lo è dal momento stesso in cui si pone come tale: dal momento stesso in cui si pone come semplice potere e non più come rapporto di potere, come tensione fra soggetti o singolarità (è la lezione di Foucault). E’ nel suo erigersi all’altezza autorevole di potere senza rapporto, senza misura e dunque smisurato, che esso si ritrova senza alcuna legittimità. Per questo, un potere che si voglia tale, un potere che abbia rigettato nell’accidentalità l’altro termine del rapporto, non può che mentire, e sostituire il rapporto di potere con un rapporto di menzogna (rapporto nel quale non è più in gioco la tensione fra due termini, bensì la violenza di un discorso che, parlato dal potere, si accanisce sulla vittima).
Affinché il proprio discorso non si risolva in menzogna, il potere dovrebbe lasciar parlare altrui in merito alla propria legittimità, l’altro termine del rapporto, il punto di vista esterno irriducibile al potere che per le teorie del garantismo (Ferrajoli) è presupposto essenziale per ogni dottrina democratica: laddove tale punto esterno manca, ecco che il potere si auto-fonda e si auto-legittima come valore in sé, occultando quella stessa relazione che lo costituisce e che permane come un debito insolvibile.
Non può darsi qualcosa come un passaggio legittimo dall’assenza di diritto al diritto: non essendo data in quanto tale, una simile pretesa di legittimità sarà sempre da instaurarsi, nell’après-coup con il quale il potere istituisce se stesso. In tal senso, Nancy può dire che «l’État n’est jamais en première instance que le coup d’État». Solo in seguito esso compirà quel particolare maneggio, quella menzogna, con la quale, hegelianamente, il falso si dimostrerà essere un momento del vero. In altri termini, solo successivamente la legalità delle procedure interverrà a supplire l’assenza di legittimità, a cancellarne la traccia. Fu il tentativo perseguito da Hans Kelsen con la sua dottrina pura del diritto, il quale aveva disatteso questione della legittimità, evitando così di mentire su essa, attraverso la formulazione di un ordinamento immanente a se stesso, la cui legittimità consistesse ormai soltanto nella sua legalità. Ma una simile legalità necessita di un credo e di credito, richiede una fiducia incondizionata verso il potere, creditore fraudolento che mentirà per il solo fine di ottenere fiducia. E’ proprio questa componente volitiva a determinare l’immancabile carattere teleologico di ogni menzogna, quale atto indirizzato a far credere, atto che si indirizza all’altro (vi è menzogna solo di fronte e nei confronti di un altrui) ma il cui scopo non è altro dal far credere. E questa fiducia», ricorda Schmitt, «resta il presupposto di qualsiasi costituzione che organizzi lo Stato di diritto nella forma di uno Stato legislativo. In caso diverso, lo Stato legislativo sarebbe un assolutismo ancor più complicato, la pretesa di obbedienza incondizionata sarebbe una manifesta violenza». La menzogna – la sua narrazione ed il credito ad essa concessa – risulta essere così il solo elemento che distingue la violenza manifesta da quella dissimulata.
Michail