Le impressioni di chi arriva in ritardo

Monti ha fatto una capatina all’università di Verona la mattina di sabato primo dicembre. E io sono già in ritardo. Bel modo di iniziare il mese Più che l’intera città blindata, è Veronetta a essere colma di transenne, divise e camionette. Arrivando in ritardo si distingue la zona rossa perché è deserta e silenziosa, spogliata di persone e automobili – è un immenso parcheggio lasciato vuoto e trinceato. Non si può che pensare che si presenti così sia per alcuni presidi già terminati, sia perché altri cortei hanno scelto di invadere la città o sono stati ricacciati indietro a forza, o chiusi e resi inoffensivi in un angolo. Il deserto creato ad arte è silenziosamente presidiato: cela e protegge la sua oasi, l’università, dietro un numero progressivo di manganelli. Nell’aula magna dell’ateneo Monti parla e il suo fan club applaude – o almeno così raccontano video e giornali. Scoprirlo da sé sarebbe stato impossibile perché lo studente comune, così come il comune cittadino, là non poteva entrare: senza invito niente poltroncina e niente ovazioni. Arrivando con ore di ritardo si è accolti dal desertico spiazzo e gettando uno sguardo all’università lontana non si vede null’altro che un edificio impenetrabile e morente. Nell’aula magna sorrisi e chiappe strette, nelle tante altre aule, servizi segreti e polizia, camerieri e stagiste, croccantini e biscottini per premiare Fido – così si immagina poiché, come già detto, era davvero impossibile entrare in università quel primo dicembre senza la fidelity card. Arrivando in considerevole ritardo ci si muove in fretta e sovrapensiero, escogitando diverse scuse per giustificarsi del proprio ritardo, e si rischia così di prendere la svolta sbagliata trovandosi soli davanti a omoni armati oppure a un centinaio di sbandieratori del terzo millennio, come li chiama un’amica, o ad altri raggruppamenti altrettanto detestabili. Se si arriverà in ritardo perché si è partiti già in ampio ritardo, almeno ci si può prendere il lusso di farsi un giro, che tanto ormai si arriva tardi. Nel giretto fintamente disinteressato e ritardatario si può spiare la città: si percepisce il lavoro delle polizie e il peso di presidi e manifestazioni, lo shopping natalizio che continua tranquillo e le signore in pelliccia che traballano sui tacchi. Si cercano determinati cortei, ma ci si sofferma anche a valutare gli schieramenti di polizia, si prova a indovinare dove sta succedendo qualcosa seguendo la scia sonora dei convogli di camionette, si passa rapidamente per i presidi e le manifestazioni indugiando su volti e striscioni. Passeggiando in un tessuto urbano di strade e semafori, una sirena in lontananza, una colonna di auto esageratamente lunga, un ritardo degli autobus, sono dati che forniscono preziose indicazioni. Per chi arriva in ritardo sono proprio questi elementi a dare un primo bilancio immediato dell’impatto dell’intera mattinata sulla città. Partendo in ritardo e accumulandone sempre di più perché non si trova chi si cerca, quando finalmente si arriva, il ritardo è palese. E tutti ti sfottono un po’. Allora via con le scuse. La tattica migliore rimane forse cercare di convincere gli altri della portata teoretica e speculativa dell’osservazione empirica della città, e di alcuni nodi specifici del tessuto urbano, nel momento in cui detta osservazione è fatta con un deciso scarto temporale rispetto al punto di più alta tensione della protesta. In altre parole: si vende per buono quel che si è visto arrivando vergognosamente tardi. 
Elsa Valbrusa