impronte - rete per la libertà di movimento

     

La libertà di movimento è il presupposto di ogni libertà e non può essere negoziata. Essere libere e liberi di attraversare i confini, di scegliere dove e come vivere non è un'astratta utopia ma è un diritto legato alla vita reale, è una pratica politica che le donne e gli uomini migranti agiscono continuamente nonostante i confini giuridici, materiali e simbolici che costellano l'Italia e l'Europa.
Abbiamo deciso di ripartire da questa stessa pratica politica, sia come obbiettivo ultimo, sia nelle mille declinazioni che tutti i giorni assume nelle lotte dei migranti.

Per questa ragione:

Siamo contro le politiche securitarie e la militarizzazione della vita, contro ogni forma di detenzione ed espulsione dei migranti che da queste scaturiscono, e vogliamo la chiusura immediata di tutti i CPT e l'abolizione di Frontex.

Siamo contro il legame tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro che costituisce una grave fonte di instabilità, ricatto e sfruttamento per i migranti, e vogliamo l'emancipazione del lavoro e dal lavoro di tutte e di tutti.

Siamo contro ogni retorica ipocrita che cerca di mascherare il razzismo istituzionale del controllo dei confini e delle leggi sull'immigrazione e vogliamo la regolarizzazione di tutti i migranti in Italia e in Europa.

Abbiamo deciso di ripartire insieme, migranti e non migranti, oltre ogni appartenenza nazionale e identitaria, perché le politiche di governo delle migrazioni sono un nodo centrale per capire la trasformazioni del lavoro e la precarizzazione della vita che colpisce ognuno di noi.
In questi mesi abbiamo utilizzato strumenti diversi, dalle assemblee di informazione, all'apertura di spazi di comunicazione verso l'esterno, fino ai presidi di piazza, per costruire insieme e tenere aperto uno spazio di movimento che restituisca la parola ai migranti e alle pratiche concrete.
Uno spazio fatto anche di battaglie intermedie, come quella per l'accettazione di tutte le domande presentate con il decreto flussi e per la costruzione di una rete di solidarietà tra i lavoratori delle bacarelle. Su questi temi intendiamo proseguire nostra la riflessione e allargare le pratiche politiche.
 

 
LETTERA DEL PRESIDENTE BOLIVIANO EVO MORALES ALL'EUROPA

Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa fu un continente d’emigranti. Decine di milioni di europei partirono verso l’America per colonizzare, per sfuggire alla miseria, alle crisi finanziarie, alle guerre, ai totalitarismi europei ad alle persecuzioni inflitte alle minoranze etniche.
Oggi, sto seguendo con molta preoccupazione il processo d’approvazione della cosi detta “direttiva rimpatrio”.
Il testo varato lo scorso 5 giugno dai Ministri degli Interni dei 27 paesi dell’Unione Europea, dovrà essere sottoposto al voto del Parlamento Europeo il 18 giugno corrente. Ho l’impressione che questa direttiva indurisca in maniera drastica le condizioni di detenzione e d’espulsione degli immigrati senza documenti, indipendentemente dal loro tempo di permanenza nei paesi europei, dalla loro condizione lavorativa, dai loro legami familiari, dalla loro volontà d’integrazione e dal raggiungimento della stessa.

Gli Europei giunsero in massa nei paesi latino americani ed in America settentrionale, senza visto e senza alcuna condizione imposta dalle autorità. Furono sempre i benvenuti e continuano ad esserlo, all’ interno dei nostri paesi del Continente Americano, che assorbirono la miseria economica dell’ Europa e le sue crisi politiche.
Ancor prima vennero nel nostro Continente a sfruttarne le ricchezze e trasferirle in Europa, con altissimo costo per le popolazioni originarie d’America. Come nel caso del nostro “Cerro Rico” di Potosi e delle sue favolose miniere d’argento che permisero di dare massa monetaria al Continente Europeo dal secolo XVI fino al XIX. Le persone, i beni ed i diritti dei migranti europei furono sempre rispettati.
Oggi, l’Unione Europea é la destinazione principale degli emigranti di tutto il mondo, e ciò è conseguenza della sua positiva immagine di luogo di prosperità e di libertà pubbliche. La stragrande maggioranza dei migranti giunge nell’Unione Europea per contribuire a questa prosperità, non per approfittarsene.

Lavorano ad opere pubbliche, nell’edilizia, nei servizi alle persone e negli ospedali; lavori che non possono o non vogliono svolgere gli europei. Contribuiscono al dinamismo demografico del continente europeo, a mantenere il rapporto tra attivi e inattivi che rende possibili i suoi generosi sistemi di assistenza sociale e dinamizzano il mercato interno e la coesione sociale.
Gli immigrati offrono una soluzione ai problemi demografici e finanziari dell’UE.
Per noi, i nostri emigranti rappresentano l’aiuto allo sviluppo che gli Europei non ci concedono, dato che ben pochi Paesi raggiungono realmente il minimo obiettivo dello 0,7% del loro PIL nell’aiuto allo sviluppo.
L’America Latina ha ricevuto, nel 2006, 68.000 milioni di dollari in rimesse, in altre parole più del totale degli investimenti stranieri nei nostri Paesi.
A livello mondiale raggiungono i 300.000 milioni di dollari, che superano i 104.000 milioni di dollari elargiti per la cooperazione allo sviluppo. Il mio Paese, la Bolivia, ha ricevuto un importo superiore al 10% del proprio PIL in rimesse (1.100 milioni di dollari), e pari a un terzo delle sue esportazioni annuali di gas naturale.


   


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Questo significa che i flussi migratori sono benèfici tanto per gli Europei quanto per noi del Terzo Mondo, seppur in maniera marginale, dal momento che allo stesso tempo perdiamo contingenti di milioni di unità di mano d’opera qualificata nelle quali, comunque, i nostri Stati, benché poveri, hanno investito risorse umane e finanziarie. Purtroppo, il progetto “direttiva rimpatrio” complica terribilmente questa realtà. Se comprendiamo che ogni Stato o gruppo di Stati possa definire le sue politiche migratorie in piena sovranità, non possiamo accettare che i diritti fondamentali della persona siano negati ai nostri compatrioti e fratelli latinoamericani. La “direttiva ritorno” prevede la possibilità d’una carcerazione dei migranti indocumentati fino a 18 mesi prima della loro espulsione o “allontanamento”, secondo il termine della direttiva. 18 mesi! Senza processo nè giustizia! Così come proposto oggi, il progetto di testo della Direttiva viola chiaramente gli articoli 2, 3, 5, 6,7,8 e 9 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.

In particolare, l’articolo 13 della Dichiarazione recita: 1. “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. 2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.”
E, peggio di tutto, esiste la possibilità che in questi centri d’internamento, dove, come sappiamo, si verificano depressioni, scioperi della fame, suicidi, siano incarcerati madri di famiglia e minori d’età, senza prendere in considerazione la loro situazione familiare o scolastica. Come possiamo accettare, senza reagire, che siano concentrati in tali campi i compatrioti e fratelli latinoamericani senza documenti, la cui grande maggioranza sta da anni lavorando ed integrandosi? Dov’è più il dovere di ingerenza umanitaria? Che n’è della libertà di circolare e della protezione contro le detenzioni arbitrarie?
Allo stesso tempo, l’Unione Europea cerca di convincere la Comunità Andina delle Nazioni (Bolivia, Colombia, Ecuador e Peru) a firmare un “Accordo d’Associazione” che contiene come suo terzo pilastro un Trattato di Libero Commercio, la cui natura ed il cui contenuto sono uguali a quelli imposti dagli Stati Uniti. Siamo sottoposti ad una grande pressione da parte della Commissione Europea affinché vengano da noi accettate condizioni di profonda liberalizzazione del commercio, dei servizi finanziari, della proprietà intellettuale e dei nostri servizi pubblici. Inoltre, a motivo della “protezione giuridica” siamo sottoposti a continue pressioni a causa del processo di nazionalizzazioni dell’acqua, del gas e delle telecomunicazioni realizzate nella giornata mondiale dei lavoratori. Chiedo allora: dove risiede la “sicurezza giuridica” per le nostre donne, gli adolescenti, i bambini ed i lavoratori che cercano orizzonti migliori in Europa?

Promuovere la libertà di circolazione finanziaria e di merci mentre ci troviamo di fronte a incarceramenti senza processo per i nostri fratelli che cercano di circolare liberamente...... Questo è negare i fondamenti della libertà e dei diritti democratici.
A queste condizioni, nel caso in cui la “direttiva rimpatrio” venga approvata, ci troveremmo nell’impossibilità etica di approfondire le negoziazioni con l’Unione Europea e ci riserviamo il diritto di applicare nei confronti dei cittadini europei gli stessi obblighi in materia di visti che vengono imposti a noi boliviani dal primo di aprile 2007, sulla base del principio diplomatico della reciprocità. Non lo abbiamo esercitato fino ad ora, proprio nell’attesa di segnali positivi da parte dell’Unione Europea.
Il mondo, i suoi continenti, i suoi oceani ed i suoi poli conoscono importanti difficoltà globali: il riscaldamento climatico, l’inquinamento, la sparizione lenta ma sicura delle risorse energetiche e delle biodiversità, mentre allo stesso tempo aumentano la fame e la povertà in tutti i paesi, rendendo più fragili le nostre società. Fare degli emigranti, con o senza documenti, i capri espiatori di questi problemi globali non é una soluzione. Non corrisponde a nessuna realtà. I problemi di coesione sociale dei quali soffre l’Europa non sono imputabili agli emigranti ma sono il frutto del modello di sviluppo imposto dal Nord, che distrugge il pianeta e smembra le società degli uomini.
A nome del popolo Boliviano, di tutti i miei fratelli del continente e delle regioni del mondo quali il Maghreb ed i paesi africani, mi appello alla coscienza dei leaders e dei deputati europei, dei popoli, dei cittadini e degli attivisti d’Europa, affinché il testo della “direttiva rimpatrio” non venga approvato. La direttiva, così come la conosciamo oggi, é una direttiva della vergogna. Invito anche l’Unione Europea a elaborare nei prossimi mesi una politica sull’immigrazione rispettosa dei diritti umani, che permetta il mantenimento di questo dinamismo vantaggioso per entrambi i continenti e che onori, una volta per tutte, il tremendo debito storico, economico ed ecologico che i paesi europei hanno con la maggior parte del terzo mondo, affinché chiuda, una buona volta, le vene ancora aperte dell’America Latina. Oggi, non potete fallire nelle vostre “politiche di integrazione” così come avete fallito nella vostra pretesa “missione civilizzatrice” al tempo delle colonie.
Ricevete tutti Voi, autorità, europarlamentari, compagne e compagni , fraterni saluti dalla Bolivia. E, specialmente, la nostra solidarietà a tutti i “clandestini”.

Bolivia, 17.06.2008
Evo Morales Ayma
Presidente della Repubblica di Bolivia

 

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