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Gaze on the war

Gianluca Costantini al Museo della Battaglia del Senio di Sabina Ghinassi

Testo incluso nel catalogo "Linea Gotica" edito dall'Associazione Culturale Mirada

L’artista costruisce un intervento etico-estetico: una riflessione sulle testimonianze della seconda guerra mondiale in un'area particolarmente segnata. La scelta è il confronto con il passato rimosso: ora la guerra sedata dal notiziario tv è sensorialmente simile a quella dei pixels di un war game da playstation. Senza perdere una vocazione assolutamente contemporanea, Costantini ritrova invece un altro sguardo sulla guerra, ne incide i momenti con segno tagliente, li manipola con grazia scabra e dissonante, fors’anche affettiva. E resta sempre elegante e velato di un’ironia dolce-amara, struggente nella traduzione calligrafica e quasi cronachistica dei pezzi del museo: un elmetto trasformato in scaldavivande, l’elenco dei caduti lungo la Linea Gotica, il numero dei cacciabombardieri alleati.

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El indio
di Gabriele Ferrero
Testo incluso nell'albo "El indio" edito dal Centro Andrea Pazienza di Cremona

Quattordici fotogrammi di un reportage sull’animo umano.
Tratte dai recenti fatti della cronaca internazionale, le istantanee scattate dalla macchina immaginativa di Gianluca Costantini ci consegnano un resoconto crudo degli eventi che sconvolgono ampie zone del globo terrestre.
Reporter impegnato in un duplice viaggio tra i meandri della mente umana e nei resoconti di guerra, Costantini sceglie con calcolato distacco gli accadimenti sui quali porre la propria attenzione. Anzi, la composizione delle quattordici tavole di El Indio, sequenza che rappresenta il modulo narrativo scelto dall’autore, tratteggia argomenti spesso distanti tra loro e da noi, ma non per questo avulsi dalla realtà.
Armato di un segno essenziale, che farà sobbalzare chi lo conosce per gli eccessi grafici che sono stati a lungo un suo elemento caratteristico, Costantini impressiona con pochi tratti la nostra coscienza, riuscendo a sovrapporre una visione personale alle immagini catturate dall’inconscio.
Riconoscibile e per questo riconducibile al percorso intrapreso da tempo, Costantini sintetizza nella modulazione del tratto, scevro di grafismi, eleganze solo in apparenza meno sofisticate di un tempo.
Alla luce di ciò, il nuovo corso dell’arte di Costantini assume un merito non indifferente: pone profondi dubbi. Dubbi destinati a dissolversi non appena si scorrono le pagine di quest’opera. Un racconto di racconti che si sviluppa attraverso quattordici fotogrammi di vite perdute.

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Anni di guerra _ network nostrano di Lello Voce
Testo incluso nel catalogo della mostra "Anni di guerra _ network nostrano" tenutasi alla Libreria 47thfloor di Roma dal 15 luglio al 31 luglio 2004

Un fumetto è una cosa fatta da disegni e parole. Di che fumetto si tratti dipende poi anche (e, a volte, soprattutto) da che rapporto c’è tra disegni e parole e questo vale più che mai nel caso di Gianluca Costantini e di queste sue tavole dedicate ai nostri, tristemente familiari, ormai quasi domestici, “anni di guerra”.
Le parole di Costantini sono invadenti, vanno sopra le figure, le coprono, ma non le nascondono, anzi si integrano nei segni visivi, divenendone parte, potenziandone la capacità allusiva grazie ad un loro aspetto curvo, arabeggiante.
Le parole scritte (anzi, disegnate) da Costantini, quasi fossero una rete di vocaboli gettata sulle tavole a catturarne il senso e a trattenerlo stretto, accanto al disegnatore e al suo lettore/spettatore, sono una sorta di grafemi, sono segni ‘concreti’ (nel senso che alla parola attribuivano teorici e poeti del calibro di Haroldo De Campos, o Eugene Gomringer) dove la forma materiale del supporto linguistico ha valore (formale e anche semantico) pari ai contenuti veicolati, stabilisce una forma dello scrivere, del lettering, che è esteticamente decisiva e che influisce sul senso globale della comunicazione e mi ricorda, per l’appunto, certe esperienze internazionali di poesia concreta e visiva.
Per altro verso, continuo, legato, legato quanto un corsivo, è il tratto del disegno, a volte morbido a volte spigoloso, sempre spiccatamente espressivo, nero quanto le parole che lo accompagnano, a formare con la scrittura una sorta di multiverso pittogramma, spiccatamente personale.
La ricerca di un linguaggio ‘diverso’, nuovo, va poi di pari passo con la scelta di parlare di ciò di cui non si parla, o si parla poco e male, e di farlo in modo ‘politico’, mettendo il dito nella piaga delle contraddizioni di un mondo in cui la violenza e la guerra rischiano di restare l’unico orizzonte possibile.
E così dalle tavole fanno capolino i volti di molti “che dicevano la verità” e quelli – sinistri – di chi ha scelto di eliminarli per farli tacere, a dipanare un filo rosso che comincia ieri, a Marzabotto, per terminare, oggi, in Iraq, quasi che queste tavole fossero segnali di pericolo, inviti a deviare, prima che arrivi domani, dalla traiettoria di un’autodistruzione folle e inutile, nella quale alle guerre guerreggiate si accompagnano le stragi ‘bianche’ da lavoro, i genocidi per fame, le violenze quotidiane, familiari.
Dall’intrecciarsi dei segni linguistici e di quelli iconici, dal fondersi e confondersi dei volti, dei corpi, delle cose e dei drammi disegnati, con le parole che li accompagnano in un contro-canto spesso secco, essenziale, gradevolmente stridulo, nascono personaggi che sono protagonisti di una sorta di fumetto istantaneo, che si risolve in un’unica, fulminea immagine, in un lampo crudele che squarcia il buio della pagina intorno.
Ma ognuno di questi lampi è poi elemento di un insieme che è molto più che la somma delle sue parti, che anzi costituisce un organismo, un’individualità complessa… una strana razza di fumetto, un fumetto che, se potesse descriversi in proprio, facendo a meno dei bla-bla di questo introduttore un po’ ingessato, forse direbbe, come diceva di sé Adriano Spatola, indimenticabile poeta: «io sono una città, con tutti i suoi abitanti…»

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Masticare l’horror vacui in linee di Elettra Stamboulis
Testo incluso nel catalogo della mostra "Luogo Comune" tenutasi alla Festa Provinciale dell'Unità di Bologna dal 26 agosto al 20 settembre 2004

“Cari, che millennio abbiamo fuori?”
BORIS PASTERNAK

Chi conosce Costantini per le sue virtuosistiche decorazioni, per l’ossessione bidimensionale e l’horror vacui dello spazio bianco, penserà ad una omonimia, vedendo la nuova serie di disegni realizzata per Luogo Comune 04. In realtà tale cambiamento di rotta, parziale a dire il vero, non esclude la ricerca grafica e decorativa (decorazione dell’esistenza, come l’ha lui stesso definita): i due modus si accompagnano e incontrano lateralmente. Li accomuna un segno terso e preciso, tanto da far apparire la traccia a mano libera come un risultato di programma di elaborazione grafica digitale, cosa peraltro ipotizzabile per uno sperimentatore di media. Invece Costantini regredisce, come se facesse un passo indietro prima della corsa: usa carta povera, da fotocopiatrice e nella riesumazione della linea assoluta, semplice, complice dei vuoti, intona piccole storie estrapolate dal contesto storico e narrativo nelle quali hanno avuto luogo. Sono le schegge informative che colpiscono i nostri neuroni e che, come visivamente rappresentato dal video che accompagna i lavori, costituiscono niente più che uno scarabocchio labile che attraversa il ritmo quotidiano del caffè e la sigaretta.
C’è sicuramente in questa opzione un’eco distinta dei lavori di Pettibon, la cui mostra alla GAM di Bologna ha lasciato un segno importante in questa serie di lavori. L’estemporaneità del segno, a volte quasi espressivo, di Pettibon si traduce in Costantini in grafismo lineare con peculiarità quasi geometriche. Si coglie anche, nella tessitura del testo, la predilezione per un calligrafismo arabeggiante, che a volte rende ardua l’interpretazione semantica: è un altro punto di incontro con il decorativismo insito in questo artista. La parola, e non più il simbolo o il pattern, diviene decorazione e ornamento. I disegni esposti sono piccoli brani di biografie impazzite: gli espatriati cambogiani USA dopo l’11 settembre che fino a pochi giorni prima parlavano solo inglese e guidavano bande a Los Angeles mostrano tatuaggi e gridano slogan dell’assurdo, i manifesti della Nollywood nigeriana si tramutano in quadretti dai gusti secessionisti…in tutti la parola, sintomo evidente e noto della storia fumettistica dell’autore, è arabesco indistinto, continuum evanescente e inestricabile. Sono testi di letture usuali, segni che significano se stessi nella nostra percezione sopita dell’informazione: il gesto, differente nella forma, non risulta molto differente nelle intenzioni da quello della migliore poesia visiva, di esperienze come quelle di Stelio Maria Martini, anche se in coloro che vengono sintetizzati con questa denominazione c’è una maggiore propensione all’aspetto semiotico e alla oggettualità del valore della parola che qui è assente.
Non possiamo quindi parlare di un Costantini militante: piuttosto di un recettore colpito che ha ritradotto i segnali in nuove forme. La realtà c’è e si vede, oppure questa è una utopica semplificazione. Cosa c’è di reale e pragmatico nella stilizzazione in bianco e nero delle figure che vediamo rappresentate, nelle storie implose raccontate con sintesi bruciante in questi segni? Costantini è sicuramente cambiato, ha realizzato una diversa estetica nei suoi lavori, ma questa non ha escluso il percorso fino qui intrapreso. Questa raccolta minuziosa e attenta di oggetti biografici rinvenuti non è altro che l’horror vacui del tempo tracimatore di storie e biografie.

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L'arte di riuscire a fare il reporter di guerra di Pablo Echaurren
Testo pubblicato su CARTA Cantieri Sociali, settimanale 15/21 luglio 2004 anno VI n.28 http://www.carta.org

Dal 15 al 30 luglio, al 47thFloor di Roma, mostra di disegni dedicati agli «anni di guerra» di Gianluca Costantini. Uno strano «inviato» nei lughi dei conflitti che scatta istantanee per raccontare cosa c'è dietro le apparenze.

Uno dice: l'arte è eterna, travalica i secoli, fa piazza pulita delle piccinerie, delle consorterie, delle strategie d'occasione legate alle beghe delle congreghe che fanno e disfanno i destini, i percorsi intestini, i listini.
A seconda.
Al momento attuale l'arte è molto ma moolto sensibile al richiamo dell'effimero, alle sirene delle passarelle, dei canapé, del mondo dorato dei défilé.
Se ne nutre, ci si ingrassa, ci sguazza nella grascia. Ne ha disperato bisogno, per sopravvivere.
Tutto il modello vincente, dominato dalle performance, dalle istallazioni, dai video, necesse di potenti mezzi messi a disposizione per l'allestimento dell'esposizione. E chi più dei grandi sarti, delle case di moda, delle firme delle haute culture?
Armani per l'arte, le provocazioni delle impiccagioni cattelanesce marcate Trussardi, Franca Sozzani, Como 10 a Milano, Bulgari nuovo sponsor di Art Basel - la più grande Kunst Messe - in piega del modo - Vanessa Beecroft con la sua ultima sortita per Pitti iomo dopo quella della Foundation Cartier de Parì. Per non parlare della Fondazione Prada.
Io stesso, che faccio tanto il sofista, ho esposto nelle vetrine di Fendissime a Roma, quindi non dovrei stigmatizzare. E invece lo faccio, mi do la zappa sui piedi ma mi cavo anche i sassolini dalle scarpe.
Oggi come oggi lo stilista rassicura il pubblico e il collezionista sulla fondatezza del gusto. Laddove l'opera appare stenta, incomprensibile, risibile, occasionale, senza spina dorsale, li interviene il marchio universalmente riconoscibile di un super sarto, a garantire che si tratta proprio di qualcosa di valido, che vale la pena guardare e soprattutto comprare.
Dove vige l'estetica del superfluo, l'effimero della moda detta legge, regge contro ogni possibile contestazione che appare subito faziosa, astosa, rosa dall'invidia, comunistoide.
Viceversa, trovare sponda nei Tailleurand dell'arte è sinonimo di raffinatezza, di élite, di un'eleganza di cui una non si può fare senza, pena passare per buzzurri trinariciuti.
Lo so, sono un piagnone, un rompicoglione, un avanzo del pleistocene superiore, ma il glamour da boudoir mi induce immancabilmente a un certo humor noir.
Per questo, intendo segnalare una mostra che esula da tale logica opportunistica snobistica, che si defila, che non sfila sotto i flash, che non insegue i cash. Sto parlando di Gianluca Costantini (art dairector della rivista «inguineMAH!gazine» - www.inguine.net) e dei suoi disegni dedicata agli «anni di guerra», sto scrivendo di un artista che si è trasformato in un meccanismo di informazione grafica, in un network nostrano, in un inviato strano che usa la matita per tratteggiare e disvelare, in un reporter che usa la penna per scattare istantanee fatte di segni decisi, partecipati, essenziali. Come deve essere una narrazione insieme personale e corale, tragica e minimale.
Dal 15 luglio al 31 luglio, al 47th Floor, via Santa Maria Maggiore 127 Roma, tel. 0697606052, www.47thfloor.com.
L'inaugurazione sarà giovedì 15 luglio alle 21.30. In anteprima verrà presentato l'albo «El Indio», con testo di Gabriele Ferrero. Edizioni Centro Andrea Pazienza (Cremona).
Vernissage on-line a cura de l'Ostile. http://www.lostile.org

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Se la politica è una scelta di Robert Rebotti, Jacklamotta (scrivano)

Se la politica è una scelta, il lavoro di Gianluca Costantini è una presa di posizione cosciente, radicale, senza possibilità di compromesso con la realtà e tutte le dinamiche che nella realtà si sviluppano. Gli avvenimenti quotidiani che si susseguono, in Italia così come a livello internazionale, vengono seguiti dall'occhio attento, risoluto e preciso di Gianluca che ne codifica il senso attraverso il segno. Che è il suo stile. Che è la sua parola. La sua azione. Che è la sua scelta di presa di posizione. PoliticalComics è un diaro rappresentato del presente. Con uno sguardo dritto e teso verso il futuro. E con un piede saldo e stabile in quello che è il suo personale percorso artistico. E qui le parole si combinano al segno. Anche le parole sono segno. E il senso del messaggio aumenta di intensità. E aumenta la tensione. Perchè la tensione deve sempre rimanere alta. Abbattono muri per costruirne di nuovi. Muri divisori. O di cemento armato e filo spilato ed elettricità. Bisogna decidere da che parte stare, semplicemente.


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Gianluca Costantini
"Il silenzio dei fumetti è insopportabile"

Il fumettista italiano parla dei suo disegni e dei messaggi politici che contengono.
di Asteropi Lazaridou
(BHMA sabato 25 aprile 2006)

"Nei musei dovrebbero conservare le fotografie di coloro che hanno vissuto una guerra, non le operebanali di Botero ": l'ironia del disegnatore italiano Gianluca Costantini è pervasiva nelle sue opere in bianco e nero. Le ciniche righe che accompagnano i suoi disegni, anche se seguono i canoni della calligrafia, non hanno come obiettivo principale il mantenimento della forma. Al contrario, non esitano a parlare di verità che fanno arrabbiare, mettono in difficoltà e si occupano perlopiù dei mali della guerra e della confusa situazione politica che regna in qualsiasi parte del globo si guardi. Il pubblico ateniese ha l'occasione di conoscere il suo elaborato cinismo grazie alla mostra "Political Comics" che sarà ospitata nello spazio espositivo delle edizioni Vavel a partire da lunedì 27 marzo fino al 15 aprile.
Questo illustre artista crea disegni complessi, densi, che ti obbligano ad osservare a lungo fino a controllare anche il più piccolo dettaglio. Non vedremo mai le sue immagini senza parole " Il silenzio dei fumetti è insostenibile, non lo sopporto! Sono a favore della vicendevole influenza di parole e disegni, questa è la vera forza, questo rende questa arte unica e particolare strumento di comunicazione" egli ci tiene a sottolineare. Ama il bianco e nero per i forti contrasti che offre ed in particolare perché non è regalato: "non ti lascia margini per poterti nascondere dietro trovate, non puoi vendere ciò che non sei".
È stato più volte vittima di censura: Alcuni editori adottano la censura preventiva. Avendo visto tuoi lavori precedenti, decidono a priori che non vogliono lavorare con te.
Anche se si occupa di pagine infelici dell'attualità, non perde il suo ottimismo: è certo che i fumetti politici non possono cambiare il mondo, possono però rendere affilate le menti del pubblico, facendolo fermare per alcuni secondi davanti ad una piccola vignetta, isolando un elemento della realtà che purtroppo è passato tra le righe dei mezzi di comunicazione di massa, conclude. (Traduzione Elettra Stamboulis)