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INTERVISTA A MARIO TRONTI - 9 AGOSTO 2001


Ciò è essenziale, è come quello che si diceva prima della storia delle lotte: io non riesco a recedere da questo, posso andare oltre e dire che poi non c'è stato il seguito, però non vado indietro, come tutti ci chiedono di fare, di pensare che l'errore sia fare questa operazione. Non c'è stato il dopo, ma quel prima lì, quel punto originario, quello è essenziale, quello ha cambiato la storia delle classi subalterne, che da quel momento in poi non possono più chiedere qualcosa perché è giusto, ma operano nella prospettiva che la classe operaia dovesse diventare per un certo periodo classe non solo dirigente, ma classe dominante, che il proprietario, il grande latifondista, il grande capitalista, dovesse essere deprivato della propria proprietà. Naturalmente in questo Lenin era molto chiaro: la fase della dittatura del proletariato era una fase transitoria, che doveva servire poi a rimettere in campo in una diversa società, una volta abolite le grandi distinzioni di classe, nuove forme di potere, e quindi anche una nuova forma di politica. Ci doveva essere un punto in cui non c'era più ragione che la politica fosse soltanto politica moderna, tutta accentrata intorno al tema del potere in termini di gestione dei rapporti di forza; una volta abolite le classi c'era poi quel passaggio presente anche in Marx del deperimento della politica, del deperimento dello Stato, utopie della riassunzione delle funzioni politiche dentro la società in un certo processo. Non c'è stato questo secondo passaggio. Ora, c'è chi sostiene (può darsi anche che abbia ragione, bisogna lasciare aperte tutte le ragioni anche degli altri) che non era possibile, una volta impostato il tema della politica in quel modo, poi liberarsi da quella politica, e infatti poi non ci si è liberati, si è rimasti dentro, e tutta la fase staliniana è stata poi quella fondamentalmente, la riproposizione dei caratteri della politica moderna dentro il campo del movimento operaio stesso. Lì è accaduta una cosa strana, paradossale: così come la classe operaia lottava contro se stessa a un certo punto anche il potere sovietico ha cominciato a lottare contro se stesso. Io trovo delle ragioni, in parte l'ho detto nel libro, ma questo è un discorso che andrebbe documentato empiricamente: il seguito e il passaggio al dopo della politica moderna dentro la costruzione del socialismo non c'è stato, non perché c'è stata una cattiveria e una malvagità degli uomini, un demonismo di Stalin e così via, ma perché questa esperienza è stata accerchiata, ha subito la sindrome dell'accerchiamento, la rivoluzione che aveva come suo naturale sbocco quello di risorgere in altri paesi, anche in quelli dell'Europa sviluppata, non ha seguito questo percorso, c'è stata nei primi anni un'aggressione dall'esterno micidiale, la guerra civile, il comunismo di guerra non è stata un fase ma è diventata una permanenza, due guerre mondiali, il nazismo alle porte di casa. Era difficile insomma pretendere che si passasse al deperimento dello Stato e al disarmo della politica. Naturalmente questo poi ha prodotto altri aspetti effettivamente tragici che sono andati sicuramente oltre la necessità, il terrore e via dicendo, tutti implicati dentro quella logica. Anche lì c'è da ricostruire una storia e non da condannare le scelte e i fatti soltanto perché sono avvenuti. Ho sempre chiesto a Rita (senza ottenere quello che volevo) un affresco, la grande storia di quella fase lì: ci vorrà un pool di storici, ho chiesto di costruire qui le Annales italiani, che riprendessero a fare quella storia con una grande interpretazione di quella fase. Lì non ci vogliono piccole interpretazioni, ci vogliono grandi interpretazioni perché è stata a suo modo una grande storia, non una parentesi che si è chiusa, facciamo finta che non c'è stata oppure che è opera del demonio. Insomma, capire che diavolo è successo lì è fondamentale per capire poi le sorti della classe operaia dopo, e anche le sorti dei conflitti anticapitalistici dopo. Qui siamo rimasti con un buco nella lettura dei processi, un buco di storia enorme, insopportabile, non è possibile che non si dia una lettura di quelle cose all'altezza delle cose lì avvenute. Poi gli ultimi decenni sono stati decenni di decadenza, quindi anche quelle premesse venivano cancellate.
Le vicende della classe operaia non riesco a distinguerle da questa storia, non sono storie separate, differenti: le lotte operaie dentro il capitalismo hanno come interfaccia quell'esperienza lì di costruzione appunto di un altro mondo possibile, che è andata a finire come è finita. Quando si dice "un altro mondo è possibile" di che si tratta? Anche un altro mondo possibile non è che potrà fare a meno di giudicare quelle cose lì, nella stessa storia delle lotte non è che fai dei movimenti senza poi rimettere in gioco la storia delle lotte di classe.

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