|
INTERVISTA A MARIO TRONTI - 9 AGOSTO 2001 |
|
Anche rispetto a quanto stavi dicendo probabilmente può essere importante l'analisi dei limiti e delle ricchezze di determinate esperienze, sicuramente non come riproposizione di un qualcosa che è trascorso ma in chiave di rielaborazione critica rispetto ai nodi aperti nel presente. Partendo anche dalle interviste di questa ricerca, Romano ha formulato un'ipotesi sull'operaismo politico. La ricchezza secondo lui sta in una lettura nuova e dirompente, rispetto a una certa tradizione marxista, del sistema socio-economico, dentro la particolare fase che stava attraversando l'Italia, quella dell'entrata nel taylorismo-fordismo; e soprattutto nell'individuazione dell'operaio-massa come forza di una classe che può potenzialmente muoversi non solo per se stessa ma anche contro se stessa. In ciò rompendo con il lavorismo, il produttivismo, il tecnicismo, lo scientismo tipico della tradizione marxista, formatasi sulla figura dell'operaio di mestiere. Il limite sta nel non essere stati in grado di ri-elaborare una nuova cultura politica, nuovi fini e nuovi obiettivi, un nuovo progetto comunista adeguato a quel tipo di rottura, a quel nuovo referente collettivo. Molti operaisti, salvo alcune eccezioni, tendono a far coincidere e appiattire la politica e soprattutto il politico con una questione soprattutto di organizzazione. Lenin, ad esempio, aveva ribaltato questa impostazione, ponendo prima gli obiettivi e i fini, il progetto comunista, e poi corelazionando ad essi i mezzi adeguati alla realizzazione del processo. Questo nodo, in tutt'altre forme, resta aperto nel presente: è la questione della politica e del politico, inteso come progettuale agire indirizzato alla processuale trasformazione dell'esistente e dello status quo.
E' un'ipotesi interessante. Questo è un problema che si ripropone sempre, si riproporrà anche adesso in questa forma di movimento. Sono le vicende del politico. E' vero che gli operai non sono poi riusciti a dare una nuova definizione e una nuova pratica di politica, questo forse è stato il limite maggiore. La prima parte del discorso di Romano è molto giusta, cioè questa classe che non combatte soltanto contro l'altra classe ma anche contro se stessa: questo è un filone fondamentale anche dell'operaismo italiano e bisognerà anche metterlo in evidenza perché non è stato fatto abbastanza. Dunque, la lotta contro il lavoro e via dicendo. Da lì doveva scaturire effettivamente anche una nuova idea e una nuova pratica di politica.
E anche nuovi fini e obiettivi.
Però, non so se lì la politica sia stata tutta ridotta ad organizzazione. La mia tesi è che gli operai storicamente si sono poi incontrati con il percorso lungo e travagliato della politica moderna e in qualche misura si sono con essa quasi identificati. E la politica moderna non era soltanto riduzione della politica a organizzazione, ma era proprio declinazione della politica in quanto potere, conquista, gestione del potere, trasformazione del potere stesso, quindi il luogo era quello. Ciò secondo me non è stato un limite, è stato un tentativo realistico di prendere atto che quello era un punto attraverso cui bisognava passare, anzi era una soglia che bisognava forzare. Questo insomma era il passaggio del movimento operaio alla sua fase comunista rispetto alla fase socialista, dove la dimensione era ancora molto di carattere etico, dove dominava Kant e il kantisimo. E invece questo passaggio a una fase comunista è proprio la cesura con l'etica e con tutto quello che comportava, con tutte le conseguenze a cui poteva portare l'assunzione in proprio della politica e quindi della politica moderna. Lenin per me è fondamentalmente questo. L'idea era che su quel terreno bisognasse poi operare il passaggio di ribaltamento del potere stesso, distinguendo le fasi: c'è una fase in cui va ribaltato il potere, va cioè ribaltato il rapporto di forza, perché poi il potere viene concepito realisticamente come rapporto di forza, quindi la tradizione che va da Machiavelli a Weber, questa è entrata dentro la tradizione comunista. L'idea è che fosse necessario questo periodo di ribaltamento del potere quasi nella stessa forma, puro e semplice ribaltamento, puro e semplice ribaltamento dei rapporti di forza: è l'idea che a me convinceva molto e ha sempre convinto. Non si trattava di costruire subito il mondo degli uomini liberi, eguali ecc., ma si trattava di ribaltare la situazione: quelli che stavano sopra andavano sotto, quelli che stavano sotto andavano sopra. La Rivoluzione d'Ottobre è fondamentalmente questo.
|
1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6
- 7
|
|