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INTERVISTA A ORESTE SCALZONE - 24 MAGGIO 2000 |
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Ma c'è un'altra cosa che mi è venuta prestissimo e nel libro "Biennio rosso" la esemplifico su mio zio, poveraccio (che poi mia sorella ha tolto la pagina per darlo alle mie cugine): lui era un piccolo impiegato di terza categoria, però con delle pretese, mosca bianca perché era l'unico non di sinistra nella famiglia, figlio di un colonnello di carabinieri di Portici che si prendeva per una specie di nobile, quindi un po' monarchico, che andava a lavorare tutte le mattine prendendo il treno alle sei, quando aveva la febbre a 40 andava a lavorare ugualmente, tant'è che una volta per un mal di gola si prese una nefrite e gli tolsero tutti i denti; aveva due figlie di cui era gelosissimo e che, poverine, io le cito quando leggo un libro di Braghetti per dire "ma questa che c'entra ad essersi messa in una vicenda così, che mi pare che parli come mia cugina Mirella". Lui aveva un cane e ascoltava il melodramma, questa è la sua grandezza, poi la domenica pomeriggio ascoltava alla radio la partita e se il Napoli perdeva andava a letto senza cena. Per me è stato da sempre l'immagine del ciclo vivere per lavorare - lavorare per vivere, dell'insensatezza di questa condizione, Ivan Della Mea direbbe "la tristezza dei quartieri operai". Un po' un effetto sabato del villaggio, ma Leopardi si dice che è un genio, è la tristezza della domenica pomeriggio che poi il giorno dopo si torna a scuola e non si sono fatti i compiti; è quello che i francesi dicono "è assurdo perdere la vita a guadagnarsela", il ciclo metrò-lavoro-sonno. E' come sono fatti i quartieri che prima erano per gli operai e adesso per gli immigrati, e poi ogni tanto li devono far saltare perché sono un nido di case e non c'è nemmeno un bar, d'altra parte se ce lo mettessero durerebbe un giorno: questa idea, un po' esistenziale, dei casermoni operai che la sera vedi le finestre che si accendono le luci.
Da qui a trovarmi che mi arrangiava il primo testo di Marx che ho letto (che è un opuscolo divulgativo, "Lavoro salariato e capitale", quindi il concetto di plusvalore), poi da qui ad essere andato come attivista (quindi come facevo a leggere?), per inerzia di essere stato un bambino prodigio sono arrivato fino alla maturità, ma per una tecnica così, più un ascolto ipertrofico. Ma tutto questo non è che lo dico per motivi autobiografici e aneddotici. Io facevo il liceo classico, ma conducevo vita universitaria perché eravamo in tre della FGCI e io facevo talmente tanto casino che il preside (che era un democristiano accomodante, paradigmatico) mi lasciava andare alle lezioni che mi interessavano; quando c'era una stronza di professoressa di matematica uscivo e andavo alla sede della FGCI e poi tornavo, e rimpiango perché la matematica non va confusa con la professoressa di matematica, ma purtroppo è così. Nella FGCI sono entrato a tredici anni, dopo il luglio '60, quindi si immagini anche la cosa del romanticismo, "Per i morti di Reggio Emilia", il disco su cui si sentiva il rumore delle raffiche: io e mio cugino Sandro Petruccioli, poi con il modello del fratello per lui e cugino per me diventato comunista, ma diventato comunista come mia sorella è diventata cattolica della FUCI perché il corrispettivo del professor Lazzaroni era il salesiano don Paolone (che forse poi certo non era più distante dal Marx letterale che il professor Lazzaroni), non so bene a quale corrente appartenesse ma era un grande seduttore, ce l'ho avuto anch'io e discutevamo. Dunque, queste cose da piccolo mondo, il passo è quello della poesia di Penna, "Lento e lieto della provincia": la vasca, la FGCI, quegli altri, i missini, che poi quello è a scuola con te, con quell'altro ti guardi in cagnesco. Poi il micro-parlamentarismo, perché ero già un parolatore, ma in quanto avevo cominciato a leggere e a parlare perfettamente presto, ma perché, come se sei in un quartiere ti fai i muscoli se no ti menano, allo stesso modo te la devi cavare se sei in un mondo di adulti e quelli subito fanno di te un enfant prodige: è chiaro che quando ero a scuola, avevano messo il sistema dei microfoni e si facevano i radiodrammi, ero quello che faceva l'interprete, oppure quando avevo quattro o cinque anni facevo le recite con il grembiule lungo perché ero più piccolo e me lo prestavano. Nella FGCI all'epoca c'erano queste cose terribili, la consulta provinciale della gioventù, che era una specie di parlamentino e io ero stato uno dei costitutori, ma poi per statuto non ci potevo entrare perché era dai diciott'anni in su; oppure Nuova Resistenza, che era una specie di cosa dei movimenti giovanili dei partiti politici dell'arco costituzionale: non serviva a niente, gli altri che conoscevo sono diventati politici un po' più abili perché avevano cominciato lì a fare il mestiere. Mi mandavano a queste cose, c'è una mia foto del '64 su un libro ("Diventammo protagonisti", è uscito lo scorso anno) fatto da un burocrate della Federazione di Terni; come lui parla di me la dice lunga, in fondo è una cosa affettuosa, per cui è pudico e dice: "Scalzone, che era uno dei nostri giovani, poi fu anche condannato per istigazione all'insurrezione", che è un reato di opinione che dettero a Negri, me, Piperno dopo il convegno del '70 e che richiede l'autorizzazione a procedere che non viene mai data perché è un reato di idee; quindi quello autocensura la cosa.
C'erano due libri che mi aveva dato mio cugino, uno era "Le marxisme" di Henri Lefèbvre (poi glielo raccontai quando l'ho conosciuto), che è nei Garzantini, e comunque era diverso dalla vulgata. A parte che nella FGCI ti consigliavano come testo (Gramsci sarebbe già stato oro) il Cusinen-Arbatof "Principi elementari del marxismo", Diamat, prefazione di Suslof, quindi il testo di Lefèbvre era un'altra cosa. L'altro libro è "Lavoro salariato e capitale": quindi dici "ah, è questo", è una cosa sul tempo di vita, in qualche modo lo intuivo anche allora, il pluslavoro, il plusvalore, l'appropriazione di tempo, mi combaciava. E' chiaro che lo dico ex-post in modo formulato e cosciente, ma io ho fatto proprio l'attivista nella campagna elettorale del '63 e quello che il movimento ha vissuto (delle volte mi sento un po' un matusalemme) l'ho visto. Ci sono stati i due tentativi, tutti e due un po' tragici: quello nostro di fare un'insurrezione dichiarata, allo scoperto, ma nemmeno un'insurrezione, piuttosto un come se, un agire da partito, fase un po' lukàcsiana, soprattutto di Piperno, dichiarandola al palazzo dei congressi; e quello che cominciava nello stesso periodo, le BR, che dicevano che così saremmo andati in buca, e però sceglievano allora la clandestinità strategica e dovevano ideologizzare quella, ma là dentro c'era il germe della cospirazione, inevitabile. Ciò non perché fossero stalinisti, quindi il discorso sulla cospirazione lo potremmo rifare a partire da una lettura della rivoluzione francese (che probabilmente rimarrà sempre inedita) fatta da un mio amico ex-bordighista che è altrettanto matto che geniale, che vive tra l'Italia e Parigi e che si chiama Claudio Ielmini: fa proprio una rilettura storica del periodo della rivoluzione francese mostrando come giacobinismo e girondinismo, terrore e termidoro, sono due ganasce di un dispositivo che è già la controrivoluzionarizzazione della rivoluzione. Così come nel babeufismo, nella congiura degli eguali, nel buonarrotismo, e in tutta la storiografia (Gian Mario Bravo eccetera) del movimento operaio, con alcune concessioni di Marx, c'è un'idea di darwinismo politico, ideologico: sembra davvero che ci siano i socialisti utopistici che sono nati per fare da concime, e c'è un residuo hegeliano, poi quello che sarà invece il movimento comunista maturo, c'è questa ricostruzione. Ma loro fanno una storia delle élite, Buonarroti era proprio di radice carbonara, cospirativa, e anche Babeuf. Lui invece dice: "Andiamo a guardare gli embrioni di autonomia operaia che ci potevano essere". La storiografia socialdemocratica e/o bolscevica, comunista, nega l'esistenza di un qualcosa definibile come classe operaia o proletariato industriale addirittura nella Comune, figurarsi nell'89-'93. E Marx avrà anche dato adito a questo tipo di lettura in quei crimini contro se stesso che sono il cedere alla pressione del fare un opuscolo facile e comprensibile; però era anche uno che andava a cercare (o voleva vedere, direbbe Tronti) embrioni di autonomia di classe nel tumulto dei Ciompi. E autonomia operaia ha avuto anche delle sue forme di espressione; perché tutti parlano della solita canzone sui girondini, sui giacobini e, tutt'al più, Leperduchene e Bert come l'estrema sinistra della rivoluzione francese, e poi c'è il discorso della rivoluzione borghese in cui però la massa era... era chi? Una serie di personaggi non noti, in generale abati atei, mandati a fare i preti come a Napoli ti possono mandare a fare il femminiello, o o'prevete, o il piccolo militare di carriera: don Dechan, che stranamente invece era conosciutissimo in Unione Sovietica perché qualcuno aveva scritto che era il vero fondatore del materialismo dialettico; Jacques Roux, il leader delle sezioni dei circoli degli arrabbiati, di cui Marx dice: "Se devo identificare un antesignano, un prototipo del comunista nel senso nostro, critico e moderno, questo è Jacques Roux", che morì impazzito e suicida in galera, in quanto era non meritevole di ghigliottina, in fondo l'hanno fatto crepare così. Tutti pensano a quell'epoca alla dialettica tra la Convenzione e la sinistra, che sarebbe stata l'Hotel de Ville; ma la sinistra era già una rappresentazione, in fondo c'erano i circoli degli arrabbiati e le donne, degli arrabbiati e delle arrabbiate. Io facevo la battuta il proletariato e la proletariata. C'è un libro di una sociologa femminista inglese che mostra come nel '700, se si può parlare di embrioni di classe operaia, questi sono soprattutto al femminile, perché la trasmissione proprietaria è in linea maschile e quindi è più facile che il maschio sia proprietario o artigiano, quelli che poi hanno fatto ancora nella Comune le insurrezioni, quelli a cui si riferiva Proudhon; invece le donne erano l'embrione del (lo dico per fare il bisticcio) libero lavoratore salariato. Interessante. Nel '70, alla fine di quel convegno, il compagno che stava avanzando verso l'esperienza BR mi dice che è una bella scommessa ma che siamo matti; e io gli dico che la loro non è una soluzione, per questa intuizione che la cospirazione è contraddittoria con "la classe operaia non può che liberarsi da sé", che non è spontaneismo, è il nodo dell'autonomia.
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