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INTERVISTA A ORESTE SCALZONE - 24 MAGGIO 2000

Dopo aver seguito la canzone di Tronti e quelle altre su cose più grandi, più complesse, più nobili e più azzardate che dire amnistia per tutti e ciascuno, raccolta di 50.000 firme, asilo ecc., mi sono trovato a dire queste cose, che secondo me erano nel dritto filo puro di quello che io avevo imparato da loro (il potereoperaiese, o il potereoperaismo). Anzi, c'è una lettera del '77 a Repubblica firmata da me, Lauso e Piero Del Giudice (che non so perché c'è la pubblicarono) in cui, dopo la storia di quelli della Tiburtina, noi diciamo che bisognava fare una battaglia contro i carceri speciali e iniziare un cammino per l'amnistia; naturalmente tutti gli autonomi, Rosso ecc., dicevano "ma come? le carceri tutte salteranno in aria, siete riformisti", e per quegli altri ovviamente sembrava la luna nel pozzo. Sono un genio che me la sono inventata io questa idea? La prima volta la lettera la firmammo noi tre perché Franco era partito, ma il primo che ebbe lo scatto di dire "qui bisogna fare un discorso sull'amnistia" è stato il mio amico Piperno (vedete che è stato un mio maestro?). Da fuori, furono lui e Pace che dopo il 7 aprile rilanciarono l'amnistia, io e Lauso scrivemmo sì su Metropoli: sembrava un peccato mortale, per cui ti attaccavano da destra a sinistra: i brigatisti non ne parliamo, i combattentisti non ne parliamo, all'epoca, gli autonomi matamori di Padova o anche Volsci ti attaccavano da "sinistra" (ma in questo caso questa non si presenta la sinistra della destra, la sinistra dell'emiciclo, la sinistra dello stato, la sinistra del capitale, la sinistra nella società, come diceva Gaspare De Caro, ma è la sinistra dell'ideologia, la sinistra della serenata a se stessi). Quindi, attaccavano da "sinistra" e si trovavano molto bene con chi faceva un discorso da "sinistra" e in realtà però non voleva l'amnistia uguale per tutti perché coltivava il pensiero protocriptopredissociativo; dunque, sembravano quasi andare d'accordo esplicitamente con chi diceva "no, perché non dobbiamo riconoscere la sconfitta", come se è il riconoscerla che la crea, come quello che si arrabbia con il medico che gli diagnostica un cancro, il pensiero superstizioso. Uno può essere mosso dal fatto di sentirsi il complesso di essere disertore dal suo sogno, di aver perso il treno, ma la può risolvere altrimenti che costruendo un tessuto di aberrazioni, molto più gravi che le abiezioni nel comportamento, ma che sono dei crimini di parola e di concetti. Tutto qua. Ora, se uno rispetto a questo si è sentito dire per vent'anni, sottoposto a un double binde, "che si fa?", "bè, potremmo fare così", "ah no", "allora che potremmo fare invece?", "ah, non si può fare", "ma non c'è nessuna possibilità?", "no", chi perché "finché c'è lo stato chiedere un'amnistia...", chi perché non lo so. Va bene, ma allora perché non mi lasci in pace, perché mi viene a chiedere cosa si fa, mi si fa una domanda trappola? Tu ritieni che una soluzione di amnistia sia uno pseudoproblema perché pensi che solo l'insurrezione e l'evasione libererà i compagni? Oppure, come mi disse quel giorno Toni, "siamo nelle cantine del palazzo, non ci possiamo tirare su per i capelli, dunque dobbiamo comporre con il mercato politico"? Pensate questo? Allora cosa mi domandate a fare? E' una domanda trappola? Io non penso che sia uno psuedoproblema questo qua, però di chi mi fa la domanda pensando che sia uno pseudoproblema, non discuto le intenzioni, magari lo fa per ansia perché non può stare zitto e perché la cosa lo rode, ma mi sta facendo un'ingiunzione paradossale: "Quale camicia ti metti delle due che ti ho regalato, quella verde o quella rossa?" "Quella rossa" "Lo vedi che la verde non ti piace?", e viceversa. E' così. Psicologizzo? Non credo. Allora, dico che, dal momento che mi sono confrontato con tutti i precedenti a questa cosa qua, è chiaro che poi a un certo momento mi è toccato diventare una specie di uomo-orchestra, cioè quello che dico io faccio le cose da me; mi è sempre piaciuto il gruppo, il collettivo ecc., però siccome non mi piace né censurare né essere censurato né essere gregario, ma mica per orgoglio, non ho problemi ad essere un divulgatore del trontismo o il braccio destro del mio amico Piperno, ma non mi piace essere gregario nel senso che non pensi e vai dietro pure a dei manifesti errori del guru, e meno ancora mi piace essere guru e comandante, a torto o a ragione (o a torto e ragione), allora faccio le cose al limite da solo, come l'uomo-orchestra, quello che si vede nel metrò, è zampognaro, suona la tromba ecc.; e poi chi ci sta, per quanto tempo ci sta va bene. Come diceva Felix Guattari rispetto alla teoria dell'organizzazione: "Unitevi spesso e in modo effimero e senza problemi". Poi magari sono diventato anche una specie di juke-box. Deleuze diceva "non ho riserve", ma io non ce ne ho proprio. Quindi, mi pongono delle questioni tali per cui mi si è sviluppato e ipertrofizzato un dispositivo per cui faccio come quello che gioca a scacchi con il calcolatore: già mi faccio tutte le refutazioni, pseudorefutazioni, trappole, sofismi che mi sono sentito fare, cerco di immaginarne tutte le variazioni possibili, mi preparo le controrisposte sul piano del discorso, sul metapiano delle interpretazioni. E' chiaro che questa è una follia sul piano del poi scrivere, tagliare il flusso e ritagliare un cubetto d'acqua, qualche volta mi riesce di capire che bisogna farla ghiacciare, quindi è sterilizzata, non è più acqua, però se vuoi metterla in scatola devi accettare questo cambiamento di stato.

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