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INTERVISTA A ORESTE SCALZONE - 24 MAGGIO 2000

Adesso faccio una divagazione metodologica. Io una cosa di questo tipo la lascerei così, ma non perché mi prendo per chissà chi, ma perché vorrei sapere che cosa ne pensano di una sorta di metodo così. Io non mi prendo per nessuno, un grandissimo ermeneuta lo stimo, però io funziono così e c'è un precedente, che uno potrebbe dire che è quello del delirio, invece (e me lo sono trovato dopo) è il meccanismo come nell'analisi: il forte di questa è che c'è un meccanismo con l'interlocutore, ma qui altri o il pubblico possono funzionare ugualmente, poi ci sono tutti i problemi di transfert e contro-transfert. Ma la cosa interessante è il discorso del sogno-schermo e della scena-schermo. Con l'analisi si può pensare di essere arrivati al punto in quel paradigma e invece è semplicemente una ricostruzione che occulta. Allora, un meccanismo così, analogico, che può sembrare vizio o virtuosismo, secondo me qualche cosa la dà. Comunque, queste cose è un peccato che io le renda infinite. Tra clinica e critica, come direbbe l'ultimo libro di Deleuze, è un dispositivo che a me è capitato così, e ha cominciato a capitare così dal momento in cui mi sono confrontato con il fatto che la cosa più semplice, banale, terra terra, che può sembrare naturale o epica, elementare, di dire, a una folla che ti dice che bisogna liberare i compagni prigionieri, dunque rivendichiamo un'amnistia per tutti e ciascuno: questo mi pare perfettamente in continuità con l'operaismo degli aumenti uguali per tutti e di Sbrogiò che organizzava il boicottaggio della lotta per il premio di produzione indicizzato e invece la faceva per il premio di produzione uguale per tutti. Questo non perché avessimo il valore etico (i valori sono sempre tirannici, come dice Schmitt) dell'egualitarismo o dell'eguaglianza, e Marx non era egualitario, era diversitario casomai, l'eguaglianza è un correttivo della penuria, è la divisione della miseria che poi diventa valore (questo secondo me e pure secondo Marx, a dispetto di Barbara Spinelli o dei professor Canfora). Quindi, questo in qualche modo potrebbe configurare una sorta di metodo: si può dire che è una protesi da orecchiante di alto livello non per virtù, ma per una sorta di dispositivo addirittura nevrotico di essere una specie di orecchio di Dioniso che ascolta sempre tutto e lo metabolizza in tempo reale. Magari è solo una nevrosi, oppure è come una protesi perché a un certo momento ho smesso di studiare e quindi ognuno fa con quello che ha; non lo sto predicando dicendo che studiare nelle biblioteche è una stupidaggine e bisogna invece andare per il mondo a parlare. Però mi è successo che a domanda, "liberare i compagni", ho dato una risposta operaista, mentre quella della dissociazione e di Toni era come minimo sindacalistica, corporativa: quindi, io mi ritengo quello che ha applicato alla materia ciò che ho appreso, non ho inventato niente. Ma nella risposta a Calogero, che ritengo un colpo di genio, c'era dentro il sapere di Classe Operaia, Potere Operaio, ciò che avevo imparato da loro, da Toni Negri come secondo o terzo rispetto a Tronti. E quando vedo che Tronti, pensa un po', ci dà ragione in materia nell'intervento sul libro, dico "per forza che mi dà ragione, io ho fatto il trontiano sull'amnistia". E Toni pure me la darebbe se non fosse schermato dal problema dell'autoaccecamento di quando sei parte in causa. E quando altri mi dicono "che orrore, c'è l'emergenza", e Toni fa dire a Spazzali che ci accusano senza prove, la conseguenza logica che ne tiro fuori è questa. Dunque, Calogero mi fa delle contestazioni e poi mi fa delle domande, e io gli rispondo "certo che accedo all'interrogatorio", e non è che rispondo "mi chiamo Oreste Scalzone e non ho nulla da aggiungere", come Renato Salvadori nel film "Il sospetto" o come Prospero Gallinari (con tutto il rispetto per l'uno e per l'altro: il personaggio, l'attore, il pokerista e Gallinari); ma "Io non gli rispondo", era quella la cosa che ha fatto scattare il panico di Toni, mica che è meno umorale di me. Lui ha pensato un'idea paranoica da panico: "Se non accedo all'interrogatorio mettendomi a rispondere..." (mica che ha fatto i nomi di nessuno), come se fosse un convegno di storia, per cui scrivendo due o trecento pagine. "Non è moralistica la cosa che dico io, di fronte non hai un collega in un seminario di storia: hai Guasco, che intanto è un cretino, quindi tu ti sbagli se pensi di poterlo convincere o battere sul piano dell'agorà, perché è un agorà a trucco. E poi cosa fai una discussione come se fosse un convegno storico quando in realtà quello ti tiene una pistola puntate alle tempie, dovresti essere proprio un eroe per non essere condizionato da ciò." (io queste cose gliele ho sempre dette a voce in modo appassionato e anche affettuoso) "E la pistola, Toni, lo sappiamo nella nostra vita quotidiana che te la teneva sulla testa, perché io ero un ragazzino rispetto a te in materia, però non ho avuto quella botta di panico." Lui ha avuto quella botta di panico perché ha detto: "Se mi rifiuto di rispondere" (addirittura Piscopo gli dava i calci sotto il tavolo perché poteva prendere tempo) "cosa faccio? Gli confermo l'ipotesi accusatoria, che sono il capo di tutto, quindi i giornali domani diranno che Negri è il grande vecchio delle BR, tanto che rifiuta l'interrogatorio e si dichiara prigioniero di guerra." Ma io non mi sono dichiarato prigioniero di guerra, e ho detto "certo che voglio rispondere", e quelli schiumavano; a Negri Calogero lo odiava personalmente, era hostis e inimicus da prima, per motivi padovani che (come Toni scriveste) ci vorrebbe la penna di Anatol Franz per descrivere questa miseria, la miseria di un idiota come Ventura che, in fondo a buon mercato e con un buco in un alluce, si è ripreso da tutti complessi che aveva avuto per tutta la sua vita nei confronti di Toni Negri. Ma Spataro mi odia perché sono stato causidico, perché ha capito che ero io quando era arrivato a Palmi ad essere stato il primo e che ho convinto anche Toni a fare così: sono forse andato e gli ho detto che rifiuto l'interrogatorio? Oppure mi sono messo a parlare? Sono andato, quella volta Toni mi ha dato retta: ci è successo niente di grave? Anzi, mi hanno dato retta, lui, Vesce, Virno, non mi ricordo chi altri, eravamo in isolamento giudiziario. Sono andato lì, poi faccio la prima eccezione. "Io sono stato incarcerato per un mandato del procuratore Calogero, poi per "afrazione" sono stato portato a Roma perché ad alcuni di noi, le ballerine di prima fila, ci hanno dato insurrezione armata contro i poteri dello Stato, quindi il giudice naturale non può che essere nella capitale. C'è stata una cosa di Gallucci che ci accusa di massimi reati del capitolo "Dei delitti contro la personalità interna dello Stato" del codice Rocco, tutti gli altri sono reati mezzo, adesso arriva lei e mi vuole ri-interrogare su alcuni dettagli che evidentemente sono, nella sua ipotesi, delle articolazioni funzionali a questo progetto. Io trovo che questo leda il principio del ne bis in idem." (sbagliai perché dissi ne bis in unum, non credo che sia grave, ma non è che avessi studiato alla Biblioteca Croce, ma avevo letto in una lettera dell'avvocato Filastoa al suo difeso, mio vicino di cella e antico compagno, Giuseppe Ippoliti il latinetto, poi l'avevo sbagliato, ma magari non lo sapeva nemmeno lui) "Quindi lei a che titolo mi viene ad interrogare? Si metta d'accordo con quegli altri, questo è un principio, io non rispondo due volte della stessa cosa." Infatti, sulla base del fatto che hanno fatto tutti così gli hanno spossessato il suo processo e lo hanno riunificato a Roma: queste sono delle soddisfazioni nella vita. E questa per me è come fare un duello alla pistola, lo fai con i mezzi che hai, uno sciopero della fame o un tumulto, non è un problema morale; i fessi ideologici combattentisti lo avranno visto come una cosa riformista (ma poi cosa c'entra con il riformismo?), però era più efficace e meglio che una pugnalata. Che poi me la abbia fatta pagare quando gli sono ricapitato sotto perché c'erano i pentiti, Spataro che quando parla di me sembra che sia Visinskij quando parla di Bucharin, a me cosa me ne frega? Quando sono andato da Calogero, gli ho detto che ho avuto otto giorni per pensarci, dunque gli faccio un'eccezione: "Io però rispondo solo se viene trascritto sotto dettatura: so che voi altri magistrati riassumete, già le domande non ci sono nei verbali, se vuole riassumere lei mi dispiace ma le dico quello che a volte dico a dei giornalisti, cioè io mi alzo e me ne vado." Ma non lo avrebbero potuto gestire modello Renato Salvadori, quindi si è piegato a questa cosa con gli occhi di fuori: questo l'ho sempre fatto anche quando pesavo 39 chili con i vari Sica, Imposimato eccetera. Li pubblicherò prima o poi, solo che sono andati perduti e nel libro "Il processo 7 aprile" c'è scritto che i verbali di Scalzone non sono pervenuti: mi toccherà pubblicarli perché tra un secolo uno potrebbe pensare che sono quello che si è pentito! Invece forse erano talmente da manuale (e chi vuole mi prenda pure per arrogante) che, forse salvo l'interrogatorio di Lucio Castellano (che invece nel libro di Lerici c'è) e che è un colpo di genio, gli altri erano meno adeguati. Ma questo succede nella vita, è se uno si blocca lì e se ne fa un problema per i successivi trentacinque anni che si vuole male e si inceppa. Virno si è disinceppato, ma bisogna avere la maturità per farlo. E' chiaro che volendo io trovo che sia un colpo di genio mettere a verbale: "Scusi, ma le domande le fa lei o le faccio io?", e quello al momento rimane disorientato, e mi chiede cosa vuol dire; "Vuol dire che lei mi ha comunicato una serie di contestazioni che spaziano per mezzo codice penale: dunque, se non sbaglio, in codesto sistema penale l'interrogatorio è un mezzo di difesa, quindi a questo punto la palla è a me che richiedo per cortesia di dirmi su quale base mi accusate" (che poi erano le memorie del proto-cripto-pentito Romito, che tra le fantasie, le mitomanie, le stupidaggini che gli avevano raccontato per fare i belli, come le aveva rielaborate lui...). Calogero solo una cosa ha detto purtroppo vera: "Il professor Negri è il peggior nemico di se stesso, perché gli contesto un'agenda e lui mi dice che sono una razza di miserabile e che i suoi archivi sono all'Istituto Feltrinelli". Oppure Guasco che interrompe l'interrogatorio e dice: "Chiedo a questo punto un'indagine per accertare se il professor Toni Negri abbia stornato dei fondi del CNR per finanziare l'organizzazione"; e Toni lì, dopo tutta la buona condotta che aveva avuto, si alza su e gli da del miserabile, e quello freddo (che sembrava un alpino, un idiota, ma se tu discuti con un alpino che ti tiene la pistola puntata alla tempia lo devi sapere a cosa vai incontro): "A verbale, sequestro cautelativo degli eventuali beni del professor Toni Negri". E Toni rientra in cella furioso perché non è ricco come molti pensano, ed essendo che la madre, Albina Negri, era appena morta e gli aveva lasciato un appartamento, questo scherzo gli è costato venti milioni secchi, cioè il valore dell'appartamento.

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