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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 16 OTTOBRE 2000 |
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Queste cose grafiche vengono da un gruppo giovanile di Bologna e le mandano ad Alfabeta, ma chi sono questi qui di Bologna? Insomma, non potevi mica andare lì e dire "adesso parlo di Nietzsche", se parli di Nietzsche non ci fai nulla ad Alfabeta, idem se parli di Marx: andavi lì e dovevi essere sensibile a tutta una serie di variazioni che accadevano e che ti venivano anche imposte poi dalla gente che leggeva Alfabeta e incominciava ad usarsela. Sarebbe interessante immaginarsi, ma non ci riesco più di tanto, quello che sarebbe accaduto ad una rivista come Alfabeta se avesse incontrato storicamente l'epoca di Internet; però, ci si può pensare perché, siccome in Internet c'è anche molta inventività, certamente noi avremmo avuto un occhio di riguardo per il fenomeno se lo avessimo incontrato nella storia della rivista. Può anche darsi invece che Alfabeta sia morta proprio perché nascevano queste cose, questo è un altro modo di guardare la realtà.
Da molte delle interviste fino a qui fatte emerge la grande importanza che ha avuto la figura di Enzo Paci, non solo in ambito filosofico ma più in generale in un contesto culturale e politico da cui sono uscite grosse esperienze e soggetti di alto livello. Avendolo conosciuto particolarmente bene, sia in ambito universitario sia in Aut Aut, qual è il profilo che lei farebbe della figura di Paci?
Paci è coinvolto nella cultura di sinistra, al contempo ritiene che determinate letture canoniche di Marx siano da deficienti, per lui questi erano personaggi da non tenere in conto. Quindi, lui ha l'occhio al fatto che la politica in senso stretto, intesa come politica nel PCI, è più opprimente che liberatoria. E devo dire, ante litteram, si capisce che avrà una simpatia per i cosiddetti movimenti extraistituzionali e in particolare, come si sa, lui ha un'adesione quasi empatica (che poi è vista molto male anche da certi suoi allievi) con il movimento studentesco. A Paci non par vero che a un certo punto alcuni suoi colleghi crollino attraverso crisi psicologiche e anche fisiche, scompaiano dall'università quando quei selvaggi degli studenti immaginano di poterla prendere e averne il potere, e come si sa è l'unico del mondo della filosofia che regge la botta. Dopo di che lui non ha la capacità di muoversi granché bene all'interno di tutto il reticolo di differenziazioni gruppuscolari che lì cominciano a mettersi in movimento; ha alcuni, per esempio Daghini e Piana, che gli danno dei suggerimenti in una certa direzione, però non si è mai schierato comunque nei confronti dell'operaismo, per quanto poi Piana sia il suo assistente ufficiale all'università e Daghini sia un suo allievo amico. Se c'è uno "spirito" a cui Paci aderisce è lo spirito del '68. Dopo di che evidentemente cosa è successo? Forse almeno da un certo punto in poi Paci non ha mai ritenuto le cose filosofiche come cose filosofiche e basta, per spiegarmi lui pensava che la fenomenologia fosse uno strumento per fare la rivoluzione. Potrà sembrare strambo dire questo, ma Paci nei confronti dei cosiddetti studi fenomenologici di scuola, di cui è pieno il mondo e in particolare la Germania, certo a questi lui partecipa, va ai convegni (tra l'altro porta anche dietro me in certi casi), ma non si identifica assolutamente. In sostanza, l'accademizzazione del discorso filosofico è un suo nemico, e anche l'accademia è un suo nemico: lui ha continuato a parlare in termini molto molto critici e negativi dell'accademia e ovviamente se tu continui a sputare su qualcosa quella cosa lì se ne risente un po', dice "perché continui a sputare? in più ti do i soldi per vivere". E lui ha proprio una posizione antiaccademica, ce l'ha quando io lo conosco, quando entro all'università, magari ce l'aveva anche prima, io parlo dal momento in cui lo vedo.
Ne avevo già parlato nella prima intervista, io faccio un'esperienza in cui il mio riferimento è Bertold Brecht, è il mio autore, e in cui il mio riferimento in termini culturali è il Piccolo Teatro di Milano, e le due cose facevano abbastanza coppia. Quando arrivo all'università mi iscrivo a Lettere, poi sento le lezioni di Paci e trovo una specie di filo di congiunzione tra il modo con cui avevo capito che poteva servire la cultura e il modo con cui questo signore con l'aria strana, con questo enorme naso, teneva le lezioni. Queste incredibili lezioni a cui davvero partecipava un pezzo della città, il che se si vuole è folclore, ma tutto sommato è davvero folclore? Sì, forse è folclore che la prima fila è fatta di persone impellicciate come si diceva che accadeva ai tempi di Berson, ma già è un po' meno folclore sapere che l'ultima è fatta di bidelli: perché i bidelli vanno alle lezioni di Paci? Non devono lavorare, per esempio, si direbbe oggi?
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