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(pag. 8)
INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 16 OTTOBRE 2000


Forse può bastare ciò per fare questo discorso che ho chiamato dei significanti. Certo, poi pensando a un utilizzo Internet di questa cosa sarebbe interessante riuscire a fare vedere una copia della rivista perché se no questo discorso rimane un pochino avulso. Perché poi c'entrano anche i colori su Alfabeta, forse il primo numero è in bianco e nero poi diventa con un colore di riferimento in copertina: anche lì, se ci si pensa, è una bella anticipazione rispetto a quello che si è fatto successivamente, anche Il Corriere della Sera ci è arrivato adesso. Poi ci si divertiva ovviamente in queste riunioni, erano lunghe, erano infinite, si ghignava perché c'erano tutti personaggi; noi, il gruppo dei più giovani, che eravamo anche piuttosto amici, noi tre (Formenti, Ferraris che era ragazzino e io) avevamo poi tutta un'eco di sghignazzamenti tipo scuola, e tutti noi avevamo imparato ad imitare Leonetti o anche qualcun altro. Leonetti aveva un suo linguaggio incredibile, era veramente un personaggio inimmaginabile perché è un personaggio a cui dai poche lire per quello che scrive e che pensa, e invece è una specie di uomo verve incredibile per quello che riguarda l'invenzione. C'erano liti furibonde, mostruose, incazzature, perché erano diversissime le sensibilità. Comunque i temi non erano mica solamente i libri, questo va detto con chiarezza: poteva ad esempio essere una legge, se oggi esistesse Alfabeta mi aspetterei di trovare una serie di articoli sulla riforma universitaria, trattati esattamente come si sarebbe potuto trattare l'ultimo romanzo di Calvino, non dicendo "questa è roba da tecnici o da insegnanti", ma discutendo come stiamo cercando di fare un po' su Aut Aut. Tra l'altro abbiamo fatto la presentazione del numero sull'università qua a Milano, come relatori eravamo io, Dal Lago e Umberto Curi, il quale è stato anche molto bravo, ha fatto una bella relazione; l'abbiamo fatta alla libreria Rizzoli (perché noi di Aut Aut in questo momento siamo della RCS). C'erano cinque persone, di cui due amici nostri: è impressionante come vadano le cose se tu sbagli sede e non costruisci intorno un evento. Dal Lago veniva da Genova, Curi da Padova, si erano preparati anche dei discorsi molto interessanti, in sostanza è un'occasione completamente sprecata. Oggi fare cultura a Milano, per me che poi sono assente dalla città, è molto difficile sapere cosa vuol dire. Noi avevamo questa sede in una piazza vicino a corso XXIII Marzo, che era le sede della Multipla, la casa editrice, e ci si andava ogni tanto, andavi lì e trovavi il poeta Porta, la gente andava lì a leggere gli articoli: questo laboratorio era un mondo. Poi molti collaboratori cominciavano a venire lì, a questo punto poi trovavano anche dei personaggi fissi perché poi Formenti stava in sede, aveva quasi un orario di lavoro in sostanza. Formenti ha imparato a scrivere lì: era arrivato ad Alfabeta che maneggiava la lingua italiana in modo brutale, movimentista, quelle cose tremende, le conosco perché noi avevamo avuto delle esperienze in Aut Aut di articoli del genere e ci fu molta fatica per renderli potabili (ci si figuri, potabili per Aut Aut...). E lì ci fu questa esperienza incredibile che poi ha creato la sua dimensione di uomo di cultura, di giornalista, di persona che ha scritto racconti di fantascienza, romanzi. Peccato che fossimo pochi (io ero un po' a metà) quelli che non erano ancora arrivati, ma quei pochi hanno avuto un vantaggio dal vivere lì. Io ho avuto un vantaggio enorme, non ero più un ragazzino, quando incomincia la rivista avevo 37 anni, ma devo dire che lì ho avuto un'esperienza culturale come non ho mai più avuto, né all'università né in Aut Aut. Alcune cose facevano cagare, altre cose ti interessavano, però ricavavi sempre qualcosa, uscivi da queste riunioni e dicevi "bé, però...": ho avuto da un buco uno sguardo intellettuale su quello che mi stava intorno. Poi era anche un luogo di formazione, tu arrivavi lì e avevi tutta una serie di informazioni su quello che accadeva in Italia, quello che accedeva in Francia, come se fosse una specie di telescrivente. Sono quelle cose che se tu dici "adesso la faccio" non ci riuscirai mai, forse perché farla adesso sarebbe del tutto impraticabile. Forse per quelli che non capiscono perché non lo hanno vissuto che cosa fosse il cosiddetto movimento (che è tutto e niente, si capisce solo che dovrebbe non essere la stasi) la descrizione di questa faccenda è un modo per capirlo: c'era questa circolazione, questa insoddisfazione, questa inquietudine culturale, questo fatto che si aveva sempre qualcuno a cui potersi collegare.

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