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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 16 OTTOBRE 2000 |
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In sostanza, quello che avveniva era una sorta di possibilità di ciascuno di questi personaggi, questa roba è venuta fuori in maniera un po' casuale o per l'abilità di che l'ha messa insieme che è stato Balestrini; o forse, ha potuto esistere un Balestrini perché i tempi erano tali che poteva esistere un Balestrini. Non voglio essere marxista ferreo, ma insomma non è soltanto il cervello aguzzo di Nanni Balestrini che si inventa Alfabeta, ma Alfabeta nasceva perché c'era un contesto che permetteva che nascesse. Cioè noi abbiamo un contesto di movimento, ma questo contesto di movimento era volutamente indebolito su Alfabeta (e se uso la parola indebolito anche qui lo faccio in senso positivo); forse qualcuno pensava ogni tanto di farla questa operazione diretta, ma nell'insieme l'operazione è non troppo diretta, è insieme diretta e indiretta. E in definitiva si costruisce un'immagine di intellettuale politico, che si potrebbe dire che corrisponde al collaboratore di Alfabeta, che è stata abbastanza singolare e unica nel panorama di quei momenti lì. Adesso parlo di un collaboratore x qualsiasi, di tutti quelli che poi verranno e che faranno corona ma in numero abbastanza notevole rispetto a questi dieci che erano quelli che all'inizio costituiscono la direzione. Allora, a un certo punto si costituisce l'idea del tipo di collaboratore di Alfabeta. Alla base di tutto c'è il fatto che ci sono queste dieci figure intellettuali ciascuna delle quali non ingrana con l'altra, e quindi c'è un continuo slittare l'una sull'altra di queste figure, e all'interno di ciascuna di queste figure c'è questo slittamento. Quindi, lo slittamento è doppio, ciascuno non è uguale alla sua immagine e questa disuguaglianza poi si verifica nello stare insieme di queste persone.
Per uscire da questa immagine un po' troppo teoretica che stiamo costruendo, lascio poi immaginare che cosa erano le riunioni di redazione. Altro elemento significante è questo: è una rivista a cui se togli via le riunioni redazionali del mercoledì sera non c'è più. Quindi, tutto il lavoro veniva poi a convogliarsi in queste riunioni. Penso che Formenti abbia già parlato (anche perché è stato a lungo il suo compito) dell'importanza che hanno avuto in Alfabeta una cosa che sembrerebbe di secondario ordine che sono i verbali. Io li ho tenuti, poi purtroppo quando ho traslocato chissà dove sono finiti, anzi devo averli proprio buttati via e forse ho fatto molto male (ma credo che Formenti li abbia). Questi non erano dei qualunque verbali per fare una specie di richiamo mnemonico, ma erano delle lotte e anche dei generi letterari. Formenti ha costruito la sua identità dentro Alfabeta. Lui arriva in un secondo momento e in qualche modo si avvicina ad Alfabeta perché ha bisogno di lavorare, non lo fa soltanto per interesse politico o culturale: arriva a Milano, ha degli amici e Alfabeta gli offre anche un impiego. A un certo punto la rivista comincia infatti ad avere qualche figura che riceveva qualche retribuzione, gli articoli non erano pagati (queste cose sono anche importanti da dire) ed era previsto per i direttori un gettone di presenza a queste riunioni, lasciamo stare se poi questo gettone fu pagato sempre o no (dove l' "o no" mi sembra più probabile dell' "o sì"), però l'idea era questa in sostanza. Anche questa era un'altra idea che non ci fosse un assetto giornalistico tecnicamente professionalizzato, cosa che poteva anche essere perché tu fai una rivista, ti piazza 50.000 copie sul primo numero, quindi hai la possibilità di pensare a ciò, oggi sarebbe impensabile che non fosse così. Anzi, oggi uno che fa una rivista, a meno di tutte le esperienze tipo riviste online e queste cose qua, anche il piccolo progetto prima si procura i capitali di partenza, cioè è tutto un altro meccanismo: il nostro è il meccanismo di movimento, lì manco ci si pensa, sì, c'è un editore di riferimento il quale però è fatto anche di amici, di compagni. Questo editore che si chiama Di Maggio si inventa una piccola casa editrice che si chiama Multipla, un po' tra l'arte e la filosofia perché lui ha i suoi interessi in campo artistico, questa aggregazione di piccole case editrici in un reticolo che si chiama Area, in cui compare anche Aut Aut che per qualche anno pubblica dei libri sotto la sigla Edizioni Aut Aut. Ma, per esempio, c'è anche L'erba voglio, in cui appunto Facchinelli pubblica le sue cose, così la Lea Melandri ecc., poi ci sono i libri di cui si occupa Leonetti. In realtà, Alfabeta fa tesoro di questa circolazione di piccole attività editoriali che erano state riunite da Gino Sassi, quello che poi diventerà l'art director, quello che fa la parte grafica, costruisce graficamente la rivista. Adesso è morto, ne sono morti diversi di Alfabeta, ad esempio il poeta Porta. Un altro che era nella rivista e di cui mi ero dimenticato, e anche lui arrivava da esperienze un po' eretiche, è Paolo Volponi.
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