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INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 16 OTTOBRE 2000 |
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La rivista ha una sponda, corrisponde a una domanda e quindi i lettori ci sono e si mantengono per diversi anni su livelli che non solo sono più che accettabili ma, con qualche eccezione, oggi si trovano pochi esempi di questo genere; oggi bisognerebbe studiare qual è il fenomeno MicroMega per esempio, non so se MicroMega è l'Alfabeta di oggi, è un po' difficile dirlo, però certamente qualcosa di simile Flores d'Arcais dovrebbe aver pensato. Perché poi, quando Alfabeta muore, per diversi anni si capisce perfettamente che si potrebbe farla rivivere perché c'è una tenuta di questa formula, ma per varie pigrizie e inerzie non ci si riesce; forse anche perché si è disgregato l'elemento iniziale. Comunque rispetto a questa battuta, che è come dire "tutti ci vogliono scrivere e poi però allora bisognerebbe anche leggerla", lasciamo stare il "bisognerebbe anche leggerla" perché poi veniva letta e quindi era veramente uno snobismo, ma "tutti ci vorrebbero scrivere" questa è una cosa interessante: era proprio una sorta di bacino in cui venivano richiamati molti che lì avevano la possibilità di raccontare e costruire le loro ipotesi culturali in uno spazio adeguato. In uno spazio adeguato che aveva raggiunto una sorta di equilibrio abbastanza strano, nel senso che è difficile da avere di solito, un equilibrio abbastanza singolare e sottile tra le varie componenti che agiscono o condizionano la prestazione d'opera di un intellettuale. Non so come dire, tu puoi scrivere con un'intonazione politica e quindi hai riviste politiche, oppure puoi scrivere con un'intonazione filosofica e hai riviste filosofiche, con un'intonazione economica, economico-politica ecc.; o magari, anche quando queste intonazioni si radunano insieme, la coloritura politica, specialmente in quegli anni, era predominante. Non è che in Alfabeta non ci sia questa coloritura politica, ma c'è un equilibrio: è come dire, tu sapevi che su Alfabeta se scrivevi di economia o se scrivevi di filosofia non potevi scrivere solo di economia o solo di filosofia. D'altra parte se ti fosse venuto in mente su Alfabeta di fare la sparata ideologico-politica non era la rivista adatta. Allora, non so quale spazio intermedio veniva in questo modo intravisto, magari anche creato, ma certamente a suo modo si è messo in piedi quello spazio intermedio attraverso tante cose. Certamente attraverso questa formula di scrittura, per cui se tu scrivi dieci cartelle (perché una volta erano queste le lunghezze dei pezzi) tu sapevi però che scrivevi dieci cartelle per Alfabeta; non invece scrivere quello che si vuole e poi dire "dove lo scrivo? vediamo qual è il contenitore che mi dà più rimbombo" e allora dici "va be', Alfabeta perché funziona". No, se scrivi per Alfabeta scrivi secondo lo stile della rivista. Alfabeta aveva creato un suo stile: era uno stile che è difficilissimo in tre parole da descrivere precisamente, ma che si può poi ritrovare. E questo stile, se si vuole grazie a delle interazioni personali, grazie al fatto che queste interazioni personali poi si raddoppiavano in una sorta di spinta politica, permette a delle persone diversissime di ritrovarsi lì all'inizio e costituire un pool di direzione della rivista che è composto da tanti soggetti. Ora, a vantaggio o a svantaggio della faccenda c'è il fatto che queste persone sono tutte note o quasi: il più carneade del gruppo iniziale sicuramente sono io, mi occupavo un po' di filosofia, ma gli altri si chiamano con nomi di poeti importanti, di Semiologi con la s maiuscola tipo Umberto Eco, con nomi di studiosi di storia letteraria insigni come la Maria Corti, narratori di successo come Volponi, strani mix tra poesia e politica come Balestrini. Personaggi che provenivano da esperienze politiche: certamente Eco no, Volponi no, la Maria Corti tanto meno, a volte era completamente stralunata di fronte a certi discorsi che avvenivano in redazione, ma certamente Leonetti sì, proveniva da un'esperienza politica. Allora uno dice "ma chi è Leonetti? è un marxista-leninista": sì, certo, però è anche un pazzo (chi mi conosce sa che la uso in senso buono questa parola) nel senso che lui aveva fatto un'esperienza letteraria, non solo aveva addirittura recitato nei film di Pasolini, aveva partecipato a esperienze di tipo letterario in riviste, in luoghi di grande interesse. Quindi, ciascuno di questi personaggi era tutto sommato leggermente eretico rispetto alla disciplina, al rapporto con l'immagine intellettuale, c'era uno sforare da questa immagine in sostanza. Io non ero, ancorché fossi il carneade ripeto, il filosofo filosofo, ma ero il filosofo, con chi si occupava di filosofia, che attraverso Aut Aut non aveva l'immagine di quello che stava dentro l'università; così pure Eco non aveva l'immagine del professore ma neanche quella del politico. Leonetti, per quanto nella sua vita abbia sempre pensato di organizzare dei gruppi politici, non era l'immagine del leader politico, era più che altro l'immagine dell'artista. E via di questo passo.
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