>Home >Interviste
>Home page
>Interviste
>Riviste
>Bibliografia
>Il dibattito oggi
>Ricerca sul femminismo

> Percorso di formazione politica e culturale, l'esperienza di Aut Aut
(pag. 1)

> Intellettuali e movimenti
(pag. 5)

> I "numi tutelari"
(pag. 6)
INTERVISTA A PIER ALDO ROVATTI - 11 MARZO 2000


Insomma, se devo tirare i conti, io ogni volta mi avvicinavo laddove (ingenuamente da parte mia, me ne rendo conto) vedevo quello che, con una parola più spregiante che spregevole, si chiama movimentismo. Mi avvicinavo, vedevo che non era così e che c'era una strutturazione politica più o meno visibile, più o meno semplice, doppia, e a quel punto mi riallontanavo, un po' forse per limiti anche miei. Quindi, quello tra intellettuali e movimento io lo vedevo proprio come un rapporto per cui il lavoro intellettuale doveva soprattutto pensare la questione del movimento e fare in modo di renderla più visibile e più aperta; non la pensavo assolutamente nell'altro modo, cioè dell'intellettuale che, tutto sommato, funzionava come coscienza organizzata del movimento. Il mio è un atteggiamento che, tutto sommato, laddove le persone si trovano e cominciano a costruire delle cose insieme, in quel momento fondativo io ci sono; quando le cose cominciano a strutturarsi e a cristallizzarsi, in quel momento io magari continuo ad esserci, ma un pochino meno. Facendo un esempio, nelle pratiche che ho avuto a contatto con il sindacato CGIL-scuola dentro all'università a Milano mi sono trovato quasi sempre ad avere voglia di venire a fare a pugni con il sindacalista, o il suo facente luogo, di turno. Non era neanche una posizione anarcoide, perché l'anarchia ha poi delle basi, delle radici, una storia: era certamente una posizione di movimento. E' difficile dire, perché allora si pensava che l'intellettuale poi dovesse sparire e sottrarsi, ma in un certo senso lo penso ancora: è chiaro che poi la funzione della leadership si costituisce, ma, data la mia preparazione filosofica, date le cose che mi interessavano e che avevo studiato, dato il modo in cui attraverso queste cose vedevo la realtà, oppure attraverso la realtà vedevo queste cose (che è vero, mi capita questo), semmai l'intellettuale avrebbe dovuto sottrarsi; qui di nuovo introduco la questione del pensiero debole dal lato mio, che secondo me non è il lato da cui se ne è parlato nel polverone che si è fatto. La mia scuola di formazione e di pensiero mi ha sempre insegnato innanzitutto a vedere, e poi a vedere con sospetto, e a lavorare, come si direbbe oggi, decostruttivamente. Per chiarimento: il mio autore filosofico oggi di riferimento è sicuramente Derrida, è la persona che stimo di più, quella che trovo più intelligente, e penso che "Spettri di Marx" sia un libro sorprendente. Quello che io credo di aver imparato, su cui mi sono esercitato e a cui anche poi in qualche modo ho creduto, è questa questione del pensiero debole con tutto il carico di equivoci che ovviamente aveva fin dall'inizio; poteva essere lanciata, se era possibile lanciarla, in un certo scenario, è appunto una sorta di svuotamento e depotenziamento della teoria quando la teoria si assume il potere e la potenza del diventare comando, quando la verità diventa funzione di potere. Questo è il nucleo su cui, in modo anche un po' noioso e ossessivo, io mi sono mosso sempre e continuamente: non so bene a che cosa serva, ma certamente tutte queste funzioni di potere io le vedo continuamente anche dentro il mondo universitario.

Se l'amico filosofico che io ho oggi è Derrida, vediamo un po' chi sono i miei numi tutelari. Ho già fatto dei nomi, facciamo un elenco di chi sono i miei ispiratori. Ho già detto Brecht. Sarei molto perplesso nel dire Husserl: se si registra e si scrive Husserl e poi me lo sento dire, non sono mica d'accordo. Diciamo la fenomenologia, e dentro ad essa c'era una serie di cose, anche concrete, reali e pratiche, che un po' ho già detto e che non mi hanno mai riportato ad Husserl davvero: io, evidentemente, l'ho letto, ma non è lui ad essere un mio ispiratore, semmai un modo d'essere della fenomenologia, quindi più Paci, ma neanche solo lui. Poi, certamente, cito Sartre, che ha avuto una funzione e non mi sembra neanche oggi un cane morto: inoltre vedo che ogni volta che ne parlo ai cosiddetti studenti c'è un'animazione, mentre invece i produttori di libri mi dicono che se si pubblica qualcosa di Sartre non va. A Raul Kierkmaier, persona che lavora con me e che si occupa di Sartre da sempre, ho dato un'opportunità editoriale, ripubblicando un bellissimo saggio di Sartre: recentemente si è trovata anche la prima versione di questo saggio, in Italia era uscito però non era più in commercio, lui l'ha ripubblicato. Ogni volta che incontro l'editore Raffaello Cortina mi rimprovera perché nessuno l'ha letto, e lui non è un editore invisibile, si vendono i suoi libri ("Spettri di Marx", ad esempio, l'ha pubblicato lui).

1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9 - 10

Per informazioni scrivere a:
conricerca@hotmail.com

.