Alleggerisco quanto ho detto con un aneddoto, perché appunto del termine operaio-massa io ho sempre un po' diffidato, anche se è efficace. Un compagno sindacalista, Gianni Marchetto, sostiene di avere l'itinerario opposto a quello che per la classe operaia teorizza Toni Negri: in quanto giovane immigrato ha cominciato come operaio sociale, scioperava solo per spaccare i vetri; poi è diventato operaio-massa, cioè operaio dequalificato in una grande fabbrica; infine, è diventato operaio di mestiere. Quando gli si chiede che esperienza ha avuto dell'operaio-massa, lui risponde: "quando ero segretario della lega di Mirafiori ne ho conosciuti due: Massa Giacomo, che era della manutenzione e iscritto al sindacato, e Massa Giuseppe, che era uno combattivo delle carrozzerie non iscritto". E poi da lì chiede: "come vi spiegate che a Mirafiori il turno A ha sempre scioperato meglio del turno B malgrado avessero ovviamente la stessa composizione di classe? Perché la soggettività del singolo operaio c'entra, perché in uno c'erano certi operai e nell'altro certi altri". Questo è un contributo teoricamente importante per il rapporto tra composizione di classe e soggettività.
Che cosa ci dici di Cesare Del Piano, che è stata una figura sicuramente significativa a Torino?
Del Piano io non l'ho conosciuto molto direttamente, quindi lo conosco più per sentito dire. Torino fu uno dei rari casi in cui non solo ci fu l'unità dei metalmeccanici, che c'era dappertutto, ma ci fu l'unità delle confederazioni e su una linea estremamente avanzata: basti pensare all'autoriduzione delle bollette, considerata uno scandalo anche nella CGIL nazionale, che a Torino fu fatta. Sostanzialmente l'unità tra i tre sindacati voleva dire Del Piano e Pugno, quindi CISL e CGIL. Dunque, Del Piano è una figura straordinaria, credo che ci sia una monumentale biografia su di lui. Era proprio un cattolico sindacalista, di quelli che per onestà da un lato e lucidità di idee dall'altro arrivava poi alle posizioni più avanzate. Quindi, è stato un fattore decisivo, prima nel dare una sponda ai sindacati di categoria, ma poi proprio per il fatto che Torino è uno dei pochi casi in cui c'è stato anche il tentativo (più convinto che altrove) di fare i consigli di zona. Dunque, lì è proprio una situazione in cui ha pesato l'influenza e il ruolo di Del Piano, anche perché era un'autorità indiscussa nel sindacato, ha avuto un ruolo molto importante.
Da questa ricerca si può ricavare un'interessante ipotesi. Da una parte l'operaismo è andato avanti proponendo una lettura socio-economica completamente nuova dell'entrata ritardata dell'Italia nel taylorismo-fordismo rispetto ad un PCI e ad un Movimento Operaio completamente impantanati nelle teorie del ristagno e dei monopoli. L'operaismo, dunque, ha rotto con una certa tradizione individuando nell'operaio-massa una figura nuova non solo per un percorso anticapitalista, ma anche nell'ipotesi dirompente di una classe contro se stessa, contro il lavorismo, lo scientismo, il tecnicismo, lo sviluppismo su cui si è formata la tradizione del Movimento Operaio. Dall'altra parte, però, non è riuscito a rielaborare nuovi obiettivi e un progetto politico che fosse adeguato a quella lettura dirompente. Romano sostiene che l'operaismo si è mosso all'interno di un particolare poligono, in parte riuscendo ma in parte fallendo nel tentativo di fare i conti con i suoi vertici, rappresentati dalla politica e dal politico (intesa come gestione e come progetto di trasformazione), dalla cultura (quanto l'operaismo ha criticato la tradizionale figura dell'intellettuale organico e la concezione esclusiva della cultura umanistica?), dagli operai e dall'operaietà (intesa nell'interrelazione tra soggettività collettiva e soggettività individuale, cose molto o del tutto trascurate), dalla questione generazionale (per la composizione sia delle esperienze politiche sia dei giovani operai).
Sono d'accordo. Vorrei sottolineare, ma credo che questo sia scontato, che l'operaismo dei Quaderni Rossi non è mai stato operaismo riferito agli operai in senso stretto. Penso a Romano, il quale fin dall'inizio (parlo ancora dei Quaderni Rossi) propose di usare al posto di "operai" il termine "produttori": la cosa scandalizzò molto Panzieri. Al di là del termine, c'era il fatto che l'attenzione di uno come Romano, ma anche la mia, è sempre stata all'insieme del lavoro dipendente. Lui poi aveva un amore particolare per i quadri intermedi, ha fatto le interviste con loro nella prima inchiesta Fiat, da cui veniva fuori una figura che è un intreccio di contraddizioni. Quindi, era un operaismo non gretto, non del tipo che se uno non aveva la tuta blu non ci interessava.
Come affronteresti tu il nodo della politica e del politico, categoria che oggi resta di centrale attualità?
E' un discorso che necessita di un grande approfondimento che parta dall'analisi della situazione attuale. Però, è da tanto che io non penso in termini organicamente politici, le mie riflessioni sono individuali: diverso è quando uno milita in un'organizzazione e allora in ogni momento cerca di interpretare quello che succede e collegarlo ad una strategia.
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