Hai già citato alcune figure particolarmente importanti nei tuoi percorsi formativi: complessivamente, quali sono i tuoi numi tutelari?
Di fatto ho citato Panzieri, Marx, Mao e Lenin. Probabilmente ce ne sono tante altre, ma è una cosa a cui non ho mai pensato. Le altre sono figure che hanno inciso sotto aspetti diversi: visto che bene o male io come mestiere ho fatto il sociologo, ci sono una serie di autori di riferimento che, anche se indirettamente, poi incidono pure sull'azione politica, nel senso che provi a fare pezzi di analisi della società o pezzi di inchiesta, però non c'entrano, sono su un altro livello. Per esempio, Max Weber è un riferimento importante, con implicazioni anche politiche: le cose che lui diceva sulla nascente Unione Sovietica erano profetiche e offrono strumenti per una lettura critica della società sovietica non di tipo anticomunista. Io poi, anche per ragioni pratiche, sono un intellettuale molto ignorante, per cui non ho letto mica tanto: però, qualche volta uno ha degli autori particolari, tipo appunto Weber o Herbert Simon (che è morto l'anno scorso), quindi due o tre riferimenti all'interno di quella che si può chiamare la scienza sociale borghese. Marx distingueva l'economia borghese, cioè Ricardo, dall'economia volgare: anche Panzieri, nell'ultima cosa che fece, un seminario nel '64, distinse tra la scienza sociale borghese, con elementi di verità importanti, e poi buona parte della letteratura sociologica che è di tipo volgare.
Quali sono stati i tuoi percorsi successivi alla fine dell'esperienza dei Quaderni Rossi?
Intanto c'è stata una tappa intermedia importante, nel senso che dopo la scissione di Classe Operaia, la morte di Panzieri, ci fu una fase complicata e confusa che coincideva anche con un momento di riflusso delle lotte, nel '64-'65 c'era la recessione. Se vogliamo, però, fu una fase di allargamento di Quaderni Rossi, per cui c'era il rapporto con Sofri, con Cazzaniga, con Mimmo Bianchi (leader delle organizzazioni autonome dei ferrovieri romani) ecc. C'era, quindi, un processo di crescita organizzativa, ma secondo me non c'era un'elaborazione strategica oppure ciascuno aveva la sua, tanto è vero che Sofri, Cazzaniga e Bianchi nel '66 hanno fatto un documento che diceva: "dobbiamo costruire il partito rivoluzionario". Noi torinesi (i Lanzardo, io ecc.) non ci credevamo, e quindi si ebbe una nuova rottura. Tra l'altro, il '66 è anche l'anno dell'ultimo numero di Quaderni Rossi. Nel '67 c'è stata a Torino un'esperienza importante, cioè il giornale La Voce Operaia. Alla Fiat la grande esplosione di lotta non si era tradotta in organizzazione all'interno della fabbrica, quindi c'era stato un passo indietro, non un ritorno alla situazione precedente: gli scioperi contrattuali del '66 alla Fiat hanno avuto esiti alterni, con anche momenti di riuscita. In questa situazione Quaderni Rossi (che esistevano ancora come gruppo, anche se la rivista non usciva e non sarebbe più uscita) costruirono questo giornale operaio: lì c'era una spinta se vogliamo di operaismo, ma secondo me saggio. Era scritto interamente da operai, nel senso che alcuni scrivevano gli articoli, in molti altri casi si parlava con uno e si tirava fuori testualmente quello che aveva detto: era un giornale di informazione e denuncia sulle varie forme di sfruttamento in fabbrica. Riuscimmo anche ad organizzare una lotta in forme che poi sarebbero diventate normali: avevano accelerato la velocità della linea, si doveva fare 3 o 4 vetture in più, gli operai si fermarono al numero di vetture precedenti, mentre il compagno che la organizzò fu spostato per rappresaglia. Lì fu quindi un momento di ripresa effettiva di contatto con la situazione operaia; i sindacalisti meno settari e più avanzati vi guardarono con interesse.
Poi è arrivato il movimento del '68 e a quel punto i Quaderni Rossi furono l'unico gruppo che si sciolse. Ciò non perché pensasse che il movimento avrebbe risolto tutto, ma perché riteneva che si fosse aperta una nuova fase in cui per i Quaderni Rossi come gruppo non avrebbe avuto senso mantenere una continuità organizzativa. E' una cosa che altri gruppi non fecero, come ad esempio quello di Sofri: infatti, ci fu un elemento di continuità che andava dal Potere Operaio pisano attraverso il movimento e arrivava a Lotta Continua. A quel punto io lavoravo con il movimento studentesco, anche se sempre con un occhio alle lotte operaie. Lì ci sono esperienze come quella della Lega Studenti-Operai, su cui Liliana Lanzardo credo che abbia pubblicato uno studio. Nel movimento studentesco c'era uno scontro tra chi voleva proiettarsi sulle lotte operaie e chi no, per cui all'inizio del '69 davanti ai cancelli non c'era la corrente dominante del movimento studentesco, la quale in qualche modo era collegata a Sofri, ma c'erano dei frammenti residui di Quaderni Rossi e dei gruppi che facevano riferimento a Classe Operaia che nel frattempo era diventata La Classe, c'era ad esempio Mario Dalmaviva, più un po' di gente che arrivava dal movimento studentesco di Medicina. Poi via via che le lotte di reparto si estesero arrivarono un po' tutti.
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