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INTERVISTA A VITTORIO RIESER - 3 OTTOBRE 2001


All'inizio si è trattato di un lavoro fatto in collaborazione con il sindacato, anche con il PSI torinese che aveva una federazione di sinistra: fummo attivi alla Fiat ma anche alla Olivetti. Tanto è vero che il primo numero dei Quaderni Rossi ha una larga collaborazione di sindacalisti, a partire da Vittorio Foa che è una figura che prima avevo dimenticato di citare: si trattava di uno degli interlocutori principali, che era comune sia al gruppo torinese (perché lui aveva radici torinesi, in particolare io lo conoscevo personalmente fin da quando era uscito dal carcere), sia romane (perché Panzieri aveva ovviamente molti rapporti con lui). Quindi, sul primo numero metà degli articoli sono fatti da sindacalisti. Nel frattempo, però, quando è uscito il primo numero c'era appena stata la rottura con il sindacato a Torino, che probabilmente dal lato sindacale obbediva anche alla classica logica staliniana, per cui siccome il sindacato di Torino era sotto processo in quanto troppo di sinistra, doveva compiere un atto riparatore di rottura; dall'altra parte, era secondo me un nostro errore di infantilismo. L'episodio su cui nacque la rottura si riferiva ad uno sciopero d'estate alla manutenzione delle Ferriere Fiat, che venivano seguite da Gasparotto e Gobbi: ci fu un primo volantino che si decise di fare non come FIOM, anche se si era lì con loro, ma come gruppo di operai, invitando gli operai a organizzarsi. Fin qui la cosa non ebbe conseguenze, visto che poi il volantino fu avallato dall'unico funzionario FIOM presente. Un secondo volantino venne fatto dicendo: "bisogna organizzarsi autonomamente fuori dai sindacati", fu ciclostilato clandestinamente in FIOM e distribuito da noi. Su questo, ovviamente, ci fu la rottura, aggravata dal fatto che noi introducemmo come base per l'incontro chiarificatore con il sindacato un documento in cui dicevamo che, siccome i partiti di sinistra erano opportunisti, il sindacato doveva farsi carico dei compiti politici e doveva essere l'embrione dell'organizzazione rivoluzionaria della classe operaia. Questo, secondo me, era una forma di anarcosindacalismo infantile. A quel punto ci fu la rottura, nell'autunno del '61. Per combinazione il numero di Quaderni Rossi, che era pronto da mesi, per ragioni di lentezza tipografica uscì proprio subito dopo questa rottura, per cui si creò una situazione per i sindacalisti molto imbarazzante. Ci fu un'intera pagina de l'Unità con un articolo di Garavini che polemizzava con i Quaderni Rossi: il povero Garavini era preso in una tenaglia nella logica staliniana, in cui se avesse parlato dei Quaderni Rossi la gente sarebbe andata a comprarli e avrebbe detto "ma tu hai collaborato". Quindi, c'era questo misterioso articolo molto duro, che però non nominava il nemico. La storia dei Quaderni Rossi la si conosce, è inutile raccontare cose che si sono già sentite da altri.


Quali sono stati, secondo te, i limiti e le ricchezze dell'esperienza dei Quaderni Rossi?

Ovviamente quella che faccio è una selezione molto soggettiva. Le ricchezze sono state tre. Innanzitutto un elemento teorico, cioè un ritorno a Marx non attraverso i vari marxismi più o meno dogmatici, ma un attingere direttamente a Marx come strumento molto più attuale per l'analisi del capitalismo di allora che non la vulgata del marxismo che si era tramandata nei partiti comunisti. In questo Panzieri è stato decisivo, i suoi articoli esprimevano questa cosa. Legato a ciò, c'era un'analisi del capitalismo come formazione dinamica: teniamo conto che allora nel Movimento Operaio era ancora presente, anche se non più in modo esclusivo, la visione del capitalismo italiano straccione, arretrato. Già a quel tempo, però, si scontrava con altre posizioni, soprattutto nel sindacato ma non solo. Nello schema vecchio del PCI c'era il fatto che la lotta di classe è prodotta dalle arretratezze del capitalismo, mentre noi dicevamo che la lotta di classe può e deve essere prodotta proprio ai livelli più avanzati. Quindi, terzo elemento, c'era il rifiuto dello schema dell'integrazione della classe operaia, cioè che "è là dove il capitalismo è più avanzato che la classe operaia si integra": su questo non ci siamo mai cascati. La lettura di Marx era una peculiarità dei Quaderni Rossi, questi altri aspetti erano condivisi da pezzi consistenti di Movimento Operaio. L'idea che la classe operaia alla Fiat non fosse integrata era un'ipotesi di lavoro di tutto il sindacato torinese: tuttavia, il fatto di aver tradotto questo in lavoro di inchiesta era importante. Fu uno dei casi in cui l'inchiesta non si è limitata a confermare ipotesi già date; da essa, in anticipo sull'esplodere delle lotte alla Fiat, venne fuori che la tensione e il livello di conflittualità latente era enorme. Tra l'altro confrontammo ciò anche con situazioni come l'Olivetti, dove c'era lo stesso una conflittualità ma che fin da allora aveva un'espressione sindacale e quindi era più "normale".

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