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INTERVISTA A MARCO REVELLI - 24 LUGLIO 2001
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Qual è stato il tuo percorso di formazione politica e culturale e quali sono state le figure di riferimento?


Il mio percorso prende origine alla periferia di una città di provincia come Cuneo, una città bianca, tranquilla, in cui l'unico fattore di rottura del conformismo era stata l'esperienza della guerra partigiana e della Resistenza, che poi si era prolungata in una serie di iniziative, l'antifascismo sostanzialmente. Dunque, era una città terribilmente bianca e conformista, ricordo che quando avevo 6-7 anni, nel '54-'55, in piena epoca centrista, mio padre era socialista e la domenica mi mandava a comprare i giornali, tra cui l'Avanti, che io nascondevo dentro La Stampa perché se i genitori dei miei compagni me l'avessero visto non li avrebbero più lasciati giocare con me, questo per dare l'idea del clima che si respirava. La prima esperienza di impegno politico è stata Nuova Resistenza, che era nata sull'onda del luglio '60: era un rilancio dal basso e antagonistico del discorso antifascista, costituita alla vigilia della nascita del centro-sinistra, con l'obiettivo di tenere dentro un movimento giovanile trasversale i comunisti, che invece venivano tagliati fuori dall'operazione del centro-sinistra. E' stata la prima esperienza politico-culturale, con delle cose che oggi fanno ridere ma che allora avevano un carattere di rottura, come il ciclo di conferenze su Cruscev, Kennedy e papa Giovanni, che tuttavia facevano scandalo, venivano censurate dalla curia ecc. E poi il '68, anzi il '67, perché a Torino il '68 incomincia l'anno prima: io arrivo all'università nel novembre del '66, nel febbraio del '67 c'è la prima occupazione gestita dall'UGI, il primo intervento della polizia, la prima volta che l'università viene sgomberata, il primo momento di rottura e di trasgressione reale, ancora tutto dentro la logica presessantottesca, ancora tutto dentro un discorso di riforma dell'università, ancora tutto dentro un discorso di alleanza all'interno del corpo accademico con la componente progressista contro i conservatori. Poi c'è l'estate del '67, l'irruzione del Vietnam, la costituzione dei comitati per il Vietnam, le prime azioni dirette su questo, il picchettaggio contro il film "Berretti Verdi", i volantinaggi, i picchetti alla Standa, ai grandi magazzini, i tentativi di bloccare la vita normale. Nel novembre c'è l'occupazione di Palazzo Campana che è la grande svolta: la nascita della comunità studentesca, il movimento antiautoritario dell'università, la contrapposizione frontale tra il corpo studentesco e il potere accademico, i nuovi linguaggi con cui si esprime l'azione collettiva, linguaggi non più formalizzati, non più il linguaggio di ceto della politica, non più il riferimento alla politica nazionale, ma una sorta di microfisica del potere, la contestazione diretta del potere accademico là dove era, questa gigantesca mobilitazione che poi si prolunga nei primi mesi del '68. Quindi gli arresti, le manifestazioni, la radicalizzazione, che io vivo tra Torino e Cuneo, perché partecipavo al movimento di Torino e poi avevamo cominciato a mettere in piedi il movimento studentesco di Cuneo con gli studenti medi: ci sono i primi scioperi, la rottura del clima conformistico della città. Ci sono primi interventi di fronte alle fabbriche, alla Fiat, che anticipano in qualche modo l'autunno caldo: a partire dall'ottobre del '68 si incomincia ad andare alle fabbriche, si iniziano a mettere in piedi i comitati operai-studenti. E poi c'è la primavera della Fiat '69, non tanto l'autunno caldo ma la primavera ha avuto un ruolo fondamentale nell'evoluzione di buona parte del movimento studentesco di Torino dall'università alla fabbrica: gli scioperi spontanei e selvaggi alla Fiat nel maggio-giugno e dei primi di luglio del '69, l'epicentro alle carrozzerie, gli operai dequalificati e della catena di montaggio, la non mediabilità di quel conflitto. C'è soprattutto l'emergere della crisi nebulosa del movimento studentesco che dopo il Maggio francese era entrato in una situazione di crisi e l'emergere di un nuovo polo e di un nuovo cerchio magico che non era più Palazzo Campana e l'università ma era la fabbrica, era la scoperta della centralità del rapporto capitale-lavoro, del rapporto di produzione, la scoperta di un soggetto molto radicale che nello stesso tempo era nel cuore del meccanismo dell'accumulazione, che dava un senso di onnipotenza straordinario.

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