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INTERVISTA A MARCO REVELLI - 24 LUGLIO 2001


E poi il 3 luglio del '69, corso Traiano, la fuoriuscita della rivolta dalla fabbrica alla città, questa forza straordinaria e incontenibile. Intanto nello stesso periodo ci sono le iniziative contro le istituzioni totali, contro i manicomi, la loro apertura. Mi ricordo l'occupazione del manicomio di Racconigi, la scoperta delle istituzioni totali, degli orrori che vi stavano dentro, abbiamo aperto le celle, abbiamo tirato fuori della gente che era sepolta viva da vent'anni. Era la scoperta del volto ignoto e coperto della società autoritaria.
Quindi, la prima tappa del romanzo di formazione è questa, da una politica ancora molto giocata sulle culture tradizionali della sinistra italiana a questa dimensione invece di presa diretta con una serie di processi sociali, in particolare con la fabbrica. Credo di essere diventato operaista allora, se si può dire in questi termini. Poi partecipo alla fondazione di Lotta Continua, quando nasce tra l'estate e l'autunno del '69. E' un primo strappo, perché Lotta Continua nasce nell'epicentro del conflitto, sull'asse Mirafiori-Pirelli, Torino-Milano e i luoghi dello scontro frontale. Io mi radicalizzo a Torino e nello stesso tempo c'è la periferia, c'è Cuneo, dove continuavamo a tenere in piedi un collettivo in cui non tutti si sentivano di fare il salto verso l'organizzazione nazionale. Quindi, a Cuneo rimane in piedi un comitato con caratteristiche locali che si chiamava Lotta di Classe, a Torino si partecipa a Lotta Continua, fino alle bombe di piazza Fontana e alla campagna sull'assassinio di Pinelli, quando in realtà parliamo di processo di nazionalizzazione di LC e anche i comitati locali, anche il locale in qualche modo si omologa alla dimensione nazionale. Seguo Lotta Continua fino al suo scioglimento, verso la fine di LC c'è il mio incontro con Primo Maggio, con il filone operaista che non aderisce e non segue la parabola di PO, che sceglie di stare a cavallo tra analisi sociale e ricostruzione storica, che lavora sulla storia dell'altro movimento operaio. C'è quindi l'incontro con i vettori tedeschi, con Karl Heinz Roth, con l'analisi che veniva fatta in Germania, la composizione multinazionale, e poi la memoria, il ruolo della memoria, le cose che studiava in quel periodo Cesare Bermani. E arriviamo così allo scioglimento di Lotta Continua e al '77, anno in cui partecipiamo al dibattito con Sergio Bologna su "La tribù delle talpe", la riflessione sulla nuova composizione sociale che si andava creando: ciò sempre dentro le categorie dell'operaismo, ma stemperato nell'analisi anche dei circuiti del denaro e nell'analisi dei processi nuovi di formazione della forza-lavoro, in un meccanismo che era ormai di fordismo esploso, che segnava già in qualche modo il tramonto della centralità operaia nel senso della centralità della grande fabbrica. Noi torinesi facciamo su Primo Maggio un articolo conservatore rispetto a "La tribù delle talpe" di Sergio Bologna, intitolato "Centralità operaia", in cui continuavamo a rivendicare la crucialità del rapporto di fabbrica rispetto invece all'idea di una socializzazione già ampia che ne dava Bologna: il dibattito era quello. Seguo Primo Maggio fino all'80, passiamo con questo dibattito dentro il '77, in qualche modo metabolizzando la critica della politica che ne fa il '77 come critica dei linguaggi separati, come critica della formazione dei ceti, come critica dell'organizzazione politica come dispositivo di disciplinamento, anche scoperta di una nuova composizione sociale che non era riducibile al lavoro di fabbrica, che era articolata sul territorio, a processi di resistenza alla trasformazione in forza-lavoro. Facciamo un po' di indagine sui nuovi assunti della Fiat, sulla loro soggettività, sui loro comportamenti, su come fossero antropologicamente incompatibili con il modello di fabbrica fordista e così via. Poi arriva la bufera dell'autunno '80, la trasformazione di Mirafiori in un buco nero dal punto di vista sociale, i 35 giorni che seguiamo fino in fondo, la sconfitta radicale, la scomparsa del soggetto operaio come soggetto antagonistico. E lì procediamo in ordine sparso, ognuno si fa il suo percorso: io continuo a ragionare sui modelli di organizzazione della produzione, altri compagni di Primo Maggio seguono ciascuno la propria specializzazione, chi diventa storico dai piedi scalzi e basta, chi analizza i circuiti monetari come Lapo Berti che continua a studiare questo, chi, come Sergio Bologna, si chiude in un volontario esilio, e così via. Attraversiamo in parte così gli anni '80, portandoci dietro quell'identità ma non facendone più un fattore di militanza politica e di impegno politico diretto. E così siamo arrivati qui, questo è il retroterra biografico.

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