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INTERVISTA A SANDRO MEZZADRA - 3 APRILE 2001


A questo aggiungerei anche una considerazione della politica che tiene insieme il lato delle istituzioni, il lato dei processi sociali, il lato della costruzione di soggettività da parte delle istituzioni, ma anche, contemporaneamente, la spinta che viene dalla contestazione dei limiti e dei confini di questa soggettività costruita dalle istituzioni, dai processi autonomi di "soggettivazione" per così dire.
Se devo parlare dei limiti dell'operaismo, qui è da una parte più facile e dall'altra più difficile. E' più difficile perché bisogna anche dire che la stessa definizione di operaismo è discutibile: è una definizione molto larga, che tiene insieme momenti storici ed elaborazioni soggettive diverse. Io personalmente, rispetto a quel tanto di esperienza e patrimonio teorico operaista che continua a circolare nel nostro paese, nei circuiti di movimento in particolare, ritengo che il limite maggiore sia quello di indulgere di tanto in tanto a una sorta di organicismo di fondo, per cui questo soggetto di cui parlavo prima non è più la spinta soggettiva ma è un soggetto già formato, già interamente disposto al comunismo ecc. Il secondo limite, e questo forse vale più del primo per l'operaismo complessivamente considerato, è una sorta di progressismo implicito nel paradigma operaista. Come dicevo, vale probabilmente per l'operaismo complessivamente considerato, anche se poi bisogna fare molte distinzioni: per progressismo implicito intendo ovviamente il riferimento costante al punto più alto dello sviluppo come punto in cui più alte sono anche le potenzialità di rottura, secondo la famosa lezione di "Lenin in Inghilterra" di Tronti. I due limiti si sono ovviamente legati molto spesso e continuano a legarsi, per cui la ricerca del punto più alto dello sviluppo diventa immediatamente la ricerca del soggetto già formato attorno a cui può determinarsi quella che magari viene nominata in altro modo ma continua ad essere pensata come la ricomposizione di classe; e tutto questo, soprattutto nelle condizioni attuali, tende secondo me non di rado ad assumere dei caratteri un po' misticheggianti...


Hai parlato di due punti di riferimento per te particolarmente importanti: Tronti da una parte e Negri dall'altra. Secondo te, sul livello delle loro proposte teoriche, quali sono gli elementi che li uniscono e quali quelli che li differenziano?

Le cose che li uniscono sono sicuramente, dal punto di vista banalmente evenemenziale, l'internità ad una fase specifica di sviluppo dell'operaismo nel nostro paese, che è quella caratterizzata poi dall'esperienza di Classe Operaia; e quindi la condivisione di una serie di tesi sulla centralità della fabbrica in quella fase, sulla centralità di quel soggetto che veniva chiamato da Negri, sulla scorta di indicazioni fondamentali di Romano Alquati, operaio-massa, da Tronti la rude razza pagana. Sempre rispetto a quegli anni c'è senz'altro il tentativo di rileggere Marx sottraendolo al gramscismo dominante, quindi di rileggere Marx accentuando gli elementi di comprensione del processo di produzione capitalistico e sottraendolo quindi all'ipoteca gramsciana del concetto di egemonia e dellavolpiana della filosofia della storia. In queste cose sicuramente condividono molto Negri e Tronti. Paradossalmente in Negri c'è, più precoce che in Tronti, l'interesse per la dimensione politico-istituzionale: Tronti comincia ad occuparsi di queste cose negli anni '70 fondamentalmente, mentre Negri scrive i primi saggi importanti sulla costituzionalizzazione del lavoro, sulla storia del partito, nei primissimi anni '60. Questo è un tratto sicuramente un po' paradossale, perché è poi Tronti semmai quello che pone l'accento sull'autonomia del politico e Negri notoriamente ne è il critico radicale. Se invece devo indicare la principale distinzione ed elemento di differenza tra Tronti e Negri, credo che consista in un diverso modo di leggere il soggetto, e tra l'altro entrambi i modi non li trovo soddisfacenti, per quanto siano (è giusto ripeterlo) modi di pensare che mi hanno profondamente influenzato. Da una parte in Tronti c'è una considerazione del soggetto che è fin dall'inizio un po' fantasmatica: penso che anche la vecchia critica marxista un po' ortodossa che è stata fatta a Tronti fin dagli anni '60, cioè quella consistente nel rimprovero di distinguere ciò che in Marx non può essere distinto, ossia il processo di produzione, il processo lavorativo, e il processo di valorizzazione, colga in qualche modo nel segno.

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