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INTERVISTA A SANDRO MEZZADRA - 3 APRILE 2001


Nel senso che il percorso dell'operaismo attraversa la storia del movimento operaio, tra l'altro un movimento operaio particolare come quello italiano; ma credo che Romano sia più di me consapevole del fatto che la stessa storia del movimento operaio internazionale (pensiamo a quello che ha significato il '56) abbia pesato molto nell'avvio del percorso degli operaisti italiani. Il percorso dell'operaismo attraversa quindi la storia del movimento operaio, ma poi a un certo punto coincide con la parabola lunga della sua crisi. La differenza di fondo che c'è tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 e gli anni '80 e oggi è che non c'è più il movimento operaio, non c'è più il movimento operaio come categoria fondamentale per leggere la costituzione materiale della società, per leggere la posizione degli operai e dei lavoratori dentro la società, per leggere le forme di socializzazione dei giovani, per leggere la politica evidentemente, ma anche per leggere la cultura. Questo mi pare un nodo su cui negli ultimi anni, all'interno del variegato dibattito operaista e postoperaista, si è riflettuto troppo poco. Cioè, che cosa significa la crisi del movimento operaio ma, ripeto, come categoria storica, non come categoria costituzionale? E da questo punto di vista sicuramente noi viviamo in Occidente e in Italia la crisi del movimento operaio, che non vuol dire fine della classe operaia, non vuol dire tutte queste balle qua. Vuol dire che quello che è stato per un lungo tratto storico un elemento fondamentale della costituzione materiale al cui interno tutti noi ci muovevamo, è venuto a mancare. Questo è un elemento di discontinuità fortissimo, qua ritorno anche al problema che ponevate voi prima. Nonostante tutto io credo che sia più interessante dal punto di vista del presente ragionare su quella che è stata l'esperienza dei secondi anni '70 che su quella che è stata l'esperienza della fine degli anni '60 e dei primi anni '70. Perché quell'esperienza là bene o male si svolgeva in condizioni di cui a me personalmente riesce difficile immaginare la riproduzione in futuro, mentre invece l'esperienza del movimento italiano degli anni '70 avanzati è la prima esperienza che cerca di porre il problema della politica in una situazione che è già caratterizzata dal declinare del movimento operaio inteso così come dicevo prima. Su questo credo che si dovrebbe ragionare un pochino di più, perché certe ipotesi politiche dell'operaismo degli anni '60 davano per scontato anche il discorso che voi prima giustamente richiamavate a proposito dell'irreversibilità dei rapporti di forza costruiti durante la lotta. Bene o male era un discorso che dava per scontato che ci fosse una forma costituzionale specifica nelle società capitalistiche occidentali, in cui esistevano delle strutture materiali su cui i rapporti di forza si sedimentavano: a un certo punto questa cosa è venuta meno e oggi viviamo in una situazione che è caratterizzata dalla palese assenza di strutture di questo genere. Perché poi anche il discorso secondo cui le lotte sono state cicliche nella fase della produzione di massa e oggi possono essere soltanto momenti di insorgenza puntuale, ha probabilmente qualche tipo di corrispondenza nelle trasformazioni della composizione tecnica di classe ecc., però credo che non possa essere letto come fatto significativo dal punto di vista politico senza fare i conti con questo problema che appunto, molto sinteticamente ma dando all'espressione un'accezione diversa da quella corrente, chiamo crisi o fine del movimento operaio. Fine di una forma politica al cui interno si determinava sedimentazione, si determinava accumulazione di forza, si determinavano processi di soggettivazione, cosa molto importante: oggi processi di soggettivazione dove si determinano? Questo è il problema, questa è la ragione per cui probabilmente per pensare la politica oggi, per quanto dall'operaismo, dalle stesse esperienze del movimento influenzato dall'operaismo italiano, possano essere tratte indicazioni importanti, bisogna andare oltre.


C'era uno schema fatto da Yann Moulier in occasione di un convegno tenutosi a Montreal alla metà degli anni '80 e che è legato soprattutto alla composizione tecnica, anche se è presentata più come composizione politica. Viene comunque affrontato un discorso su composizione, ricomposizione, scomposizione di quelli che sono i cicli di lotta e la composizione di classe. Lui aveva fatto uno schema di crescita della forma organizzativa, di partito, che forse era un po' meccanico, per cui a un certo punto della composizione si dà la rottura, poi il ritorno e via di questo passo. In parte c'è però il dato di fatto che la composizione politica, e quindi la peculiare dimensione di un certo tipo di figura operaia, sociale o come si vuole, viene fuori dopo che questa figura già si è sviluppata in termini ampi all'interno di un contesto di accumulazione capitalistico, e viene fuori soprattutto quando c'è una strettoia nella realtà capitalistica.

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