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INTERVISTA A SANDRO MEZZADRA - 3 APRILE 2001 |
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Negli anni '70 quello che si è riusciti a costruire in termini di anticipazione, e che è stato sviluppato soprattutto all'interno del ciclo delle riviste, si è dato in una dimensione particolare. Noi ipotizziamo che ci siano state alcune persone che a livello teorico hanno dato una direzione precisa, ma si contano sulla punta delle dita: anche all'interno dell'operaismo era una ristretta cerchia quella di chi era dotato di un'effettiva autonomia di elaborazione e capacità di direzione. Poi c'è stata una committenza di movimento, che faceva delle richieste politiche precise, e in mezzo c'è stata la formazione di una soggettività intellettuale e militante che ha lavorato tra questa direzione data da poche persone e il discorso sottostante di richiesta di movimento. In questo si spiega la grossa differenza di cui tu prima parlavi tra anni '70 e anni '80: tutto questo strato di intellettualità oggi lo ritrovi in buona parte all'interno dell'università o in altri ambiti con una funzione molto specialistica.
Dell'università meno, lo ritrovi più all'interno delle imprese.
La produzione, elaborazione e ricerca di qualcosa di parzialmente altro è finita nel momento in cui è cessata la spinta dei movimenti e delle lotte. Ciò perché comunque questo strato diffuso non aveva un'autonomia sua propria di elaborazione. Anche per quanto riguarda le riviste si vede come esse fossero molto legate ad un discorso di contingenza, di lettura di determinati bisogni che venivano dai movimenti e dalle lotte, però nel complesso non c'è stata la ricchezza di avere una dimensione autonoma di elaborazione teorica effettiva.
Questo però è un po' un problema generale dei movimenti.
Però, in quel momento c'è stata una situazione particolare per cui una direzione politica di indicazione precisa, data principalmente dall'operaismo, e una richiesta di committenza politica da parte dei movimenti hanno fatto sì che si formasse questo strato di elaborazione diffuso.
Se si guarda allo sviluppo del movimento in Germania, in Francia o a quello degli afroamericani negli Stati Uniti, non è mica che le cose stiano in modo molto diverso...
Però, sono stati molto più limitati come elaborazione scientifica e teorica. Questo perché la potenza del movimento in Italia non era da poco, quindi si deve tenere conto che una serie di sconfitte non sono date solo da ciò che pensano coloro che su questo hanno una posizione molto autogiustificativa rispetto ai propri errori: secondo alcuni, infatti, il movimento si sarebbe trovato in una tenaglia che era costituita da una parte dalla repressione e dall'altra dai combattenti. Bisognerebbe invece guardare e analizzare quelli che sono stati i limiti e gli errori dei propri percorsi. Quindi, non era quello il problema, bensì che anche all'interno dell'Autonomia non c'era comunque una maturità in termini di progettualità tale da essere in grado di muoversi in una prassi di alterità effettiva.
Il problema è proprio questo, su questo sono d'accordo. La questione è che, se si va a vedere il ciclo dell'Autonomia nel suo momento conclusivo, cioè nel momento che è al tempo stesso quello più alto e quello conclusivo, cioè fondamentalmente il '77-'78, si vede chiaramente che lì è mancata la capacità di dare risposta a un problema politico che emergeva in modo assolutamente chiaro dal movimento. Era un movimento che aveva raggiunto un livello di espansione orizzontale rispetto a cui era difficile pensare di andare oltre: il problema era quello della politica. E il fatto che il problema della politica non sia stato affrontato e risolto in modo efficace da nessuna delle molteplici componenti dell'Autonomia, spiega secondo me anche (oltre a tanti altri fattori) per quale ragione determinate ipotesi combattenti abbiano avuto la credibilità e la forza che hanno avuto anche dentro il movimento tra il '78 e l'80.
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