In questo piano, ad esempio, parliamo di modello d'eccellenza agroalimentare, di turismo itinerante escursionistico e culturale: non è più ovviamente quindi chimica o Fiat, c'è un modello che è completamente diverso, che si fonda sulla valorizzazione del patrimonio, sulla sua rimessa in valore, un modello culturale che prevede che siano gli attori stessi del territorio a produrre, a governare, a gestire questo processo di produzione di "valore aggiunto territoriale".
Allora, se io formo un tavolo di questo tipo, che difficoltà ci sono? Anni fa, prima ancora di fare il piano, abbiamo promosso una così detta autorità di valle, cioè una forma associativa che prevedeva di mettere insieme operatori pubblici, privati, associazioni per discutere del futuro. Con una forma del genere, fondando il progetto sulla valorizzazione del patrimonio, tutti questi attori hanno interesse a mettere in valore il patrimonio, a non distruggerlo: quindi, abbiamo una specie di autosostenibilità del progetto di sviluppo perché ognuno ha interesse in questo. Se il progetto è fondato sulla rivitalizzazione del fiume, in agricoltura, nel turismo, nel paesaggio, se c'è questo patto tra gli attori è chiaro che non si inquina più, se no si distrugge il bene comune su cui si fonda consapevolmente la ricchezza di tutti. La strada su cui io e molti altri stiamo lavorando è quella di costruire questi patti locali per lo sviluppo, esperienze che si stanno costruendo anche in Francia, in Germania, in molte situazioni. La caratteristica nuova di queste esperienze è data da queste nuove sedi di democrazia, tra la diretta e la delegata, una via intermedia, che però sono interessanti e in cui ognuno di noi agisce in diverse vesti, come tecnico, come operatore culturale, non più come intellettuale organico di un partito ma come attore tra gli attori in un gioco complesso. Richiamavo Revelli perché lui fa proprio questo ragionamento, sostenendo che oggi la difficoltà di un governo della complessità non è più appunto nel mettere insieme i simili, ma nel riuscire a trovare delle relazioni virtuose tra interessi che all'inizio del patto magari sono completamente divergenti e diversificati. Quindi, questo è un po' il problema verso cui a mio parere si è evoluta la questione della rappresentanza politica oggi: ora la discussione dovrebbe essere molto di più su come costruire questi istituti di nuova democrazia che devono vedere presente nella contrattazione, nel patto da costruire, questa nuova figura di cittadino-produttore che è interessato al suo territorio in quanto abitante ma anche in quanto produttore di ricchezza attraverso la valorizzazione del patrimonio.
Nel come tu costruisci il discorso c'è un intendere il locale come la risorsa principale. Dopo di che il globale non è la sommatoria dei locali, ma è una gerarchia differente di processi produttivi che riescono anche a trovare forme di estrazione di profitto dal locale, ma comunque comandate da un processo estremamente più ampio. Tu prima hai parlato della Val Bormida; in Val Susa, ad esempio, c'è il processo contrario. La costruzione del Tav, che rientra in un processo globale di costruzione dei trasporti e della circolazione, va invece verso la distruzione del patrimonio locale. Ciò che tu ipotizzi per qui sarebbe difficilmente proponibile in Val Susa se non come un discorso di remunerazione di un danno. Oppure si pensi a ciò che la Fiat sta costruendo come progetto di accumulazione in Piemonte: non è più quello del ciclo lungo dell'auto, ma è un ciclo molto più ristretto, basato sul mordi e fuggi, come ad esempio sono stati alcuni processi di ristrutturazione a Torino, oppure la questione delle Olimpiadi del 2006. Allora, quanto questa dimensione del locale non si trova poi in contrapposizione con la dimensione del globale che invece è profondamente diversa come processo di accumulazione capitalistica, in cui c'è invece la distruzione, la distruzione ecologica, la distruzione delle risorse umane, la distruzione della ricchezza se non finalizzata all'accumulazione di profitto?
Sono d'accordo con queste analisi. Io mi sforzo nei miei studi, nei miei lavori e nella mia militanza, chiamiamola così, di aiutare a crescere le società locali, in opposizione a un processo di globalizzazione che invece anche quando utilizza il locale lo fa per spremerlo fino in fondo. Si pensi al modello del Nord-Est, in cui si utilizzano tutte le reti dei piccoli laboratori di contoterzisti e del territorio, poi quando conviene trasferire in Romania li si butta via.
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