Dall'altra, di non aver saputo con chiarezza governare i processi di militarizzazione del movimento dovuti ad una crescente insoddisfazione: questo movimento operai-studenti non trova infatti risposte fra il '68 e il '77, fino al compromesso storico (che è una risposta di chiusura all'innovazione sociale), non trova elementi di cambiamento nella società politica e quindi tende poi ad un processo di incancrenimento e di violenza diffusa, che fa sì che i gruppi armati "spontanei" crescano e alimentino la formazione di gruppi armati organizzati.
I movimenti di Potere Operaio, di Lotta Continua, dell'Autonomia non sono stati molto chiari in mezzo a questo casino. Io ricordo nel marzo '77 la situazione molto confusa a Bologna in quelle grandi manifestazioni: 100.000 persone in piazza che esprimevano una nuova progettualità, gli infermieri di Napoli che discutevano di come trattare i malati, le donne, le cooperative, i centri sociali, ecc. A Milano in quel periodo abbiamo censito circa 200 centri sociali che non facevano solo attività di militanza, facevano musica, artigianato, cultura, cioè erano centri propulsivi di una nuova società che si andava costruendo. A Bologna allora c'erano 100.000 persone, come le 300.000 di Genova del 2001: erano una società civile che portava progettualità, che praticava progettualità in microimprese, nel no profit, nel terzo settore, nella nuova cooperazione; rifiorivano cooperative nelle campagne, agricoltori biologici, artigiani, cultura alternativa, centri sociali. Esisteva una società in nuce, come quella che si sta esprimendo oggi con il movimento antiglobal, che ha tante facce (produttive sociali, culturali, sindacali, ecc.).
A fonte di questa società civile che esprimeva una domanda di gestione politica c'erano, asserragliati nel palazzetto dello sport di Bologna, 5.000 militanti che aspiravano ad essere il ceto politico di questa nuova società: c'erano i discendenti di Lotta Continua, i gruppi dell'Autonomia, vari altri gruppetti, che discutevano dell'egemonia del processo di militarizzazione, della lotta armata da contendere alle BR. Quindi, uno stacco a mio parere totale tra questa generazione politica di militanti e questa formazione sociale, che delusa e abbandonata dalla sinistra istituzionale, chiedeva costruzione politica in forme nuove, sperimentazioni di nuove forme di organizzazione del lavoro sociale, il governo del processo di radicamento istituzionale dell'innovazione sociale. (Io avevo scritto un lungo diario su questa divaricazione fra società civile e ceto politico, l'avevo scritto a Bologna seguendo quelle giornate e annotando questi commenti: mi è stato sottratto quando mi hanno arrestato per il processo 7 aprile, me l'hanno fatto sparire e non me l'hanno mai restituito, perché era una prova a mio discarico di cosa pensassi allora del processo di militarizzazione).
Dunque, c'è stato questo aspetto negativo del non aver saputo inventare, partendo da questa grossa mobilitazione, nuove forme di organizzazione non dico partitica ma di aggregazione, di guida del processo insomma. Io ricordo che Potere Operaio è uscito con il primo numero nel '71 "Cominciamo a dire Lenin", una cosa da far venire i brividi sulla schiena vista adesso: cosa diavolo significava interpretare il primo movimento postindustriale con i canoni dell'ultimo movimento industriale? C'è stata questa miopia, anche dal punto di vista organizzativo. Non ha ovviamente riguardato solo noi, se si prendeva Lavoro Politico, la rivista di Renato Curcio fatta a Verona nel '68, era un incubo, era tutto un -ismo, marxismo-leninismo, operaismo, c'erano 40.000 riedizioni, il trotzkismo, la Quarta, la Terza, la linea rossa, la linea nera. Era un fiorire di tentativi di dare organizzazione al '68 attraverso canoni politici dei primi del '900. Come avanguardie, nel loro insieme, tra trotzkisti, operaisti, leninisti, maoisti di tutti i tipi, alla fine ci siamo trovati a tentare di organizzare un movimento che stava dischiudendosi verso la società postindustriale, che metteva le basi (non parlo solo degli operai, ma del movimento operai-studenti, le esperienze più interessanti di organizzazione), con modelli organizzativi vetusti, che prevedevano ancora appunto la fase insurrezionale, la presa del potere, lo Stato ecc. Invece, questi movimenti andavano da tutt'altra parte, e oggi lo si vede: la talpa che ha in trent'anni lavorato dopo il '68 sta andando verso forme di organizzazione del movimento che assolutamente non prevedono prese del potere o palazzi d'inverno, ma processi autorganizzativi, processi complessi di organizzazione reticolare, non gerarchica, com'è il movimento oggi detto noglobal. Quindi, questo fu un limite altrettanto grosso, ma non solo dell'operaismo, bensì generale di quell'esperienza degli anni '70. Fummo bravissimi ad analizzare, a stimolare le lotte, pessimi ad organizzare.
|